Il peso della parole nella Serie A. Dopo la squalifica di Cristante, “incastrato” dalle immagini della prova tv per un’imprecazione blasfema, in occasione di Bologna-Roma, ieri sera è stato il turno di Insigne. Il capitano del Napoli, a venti minuti dalla fine, è stato espulso dall’arbitro Massa, per aver letteralmente mandato a quel paese il direttore di gara. La scintilla è stata l’assegnazione del rigore a favore dell’Inter, Massa espelle Insigne e, malauguratamente, il capitano lascia il suo Napoli in inferiorità numerica. Un rimpianto, un’ingenuità. Costa carissimo agli azzurri che, in un match delicato e conteso, a tratti preso in mano con carattere, perde il quarto match stagionale contro l’Inter.
Nel post-gara di Inter-Napoli, il tecnico Gattuso non le ha mandate a dire, in merito all’espulsione di Insigne: “Un vaffa****o dopo un rigore ci può stare, non puoi buttar fuori un giocatore e lasciare una squadra in dieci. Solo in Italia succede“. Ascoltando la voce del tecnico ex Milan, riecheggiano nella mente altre parole, altre serate. Specialmente quella del 24 gennaio 2010, in campo c’è ancora l’Inter, davanti ancora Gattuso ma, stavolta, è il Derby di Milano. A guidare i nerazzurri c’è José Mourinho che, di lì a pochi mesi, scriverà la storia dell’Inter e del calcio mondiale. Al 26‘ Wesely Sneijder viene espulso, per un ironico applauso all’arbitro. A fine partita, ai microfoni della Rai, Mourinho esprime lo stesso identico concetto del tecnico Gattuso, aggiungendo una vena polemica riconducibile alla disparità di trattamento: “L’arbitro non deve essere permaloso, deve essere uno di più. Il regolamento dice così, ma non è per tutti: perché Totti non fu espulso nel 2008?”.
Lo Special One rievocò il famoso episodio di Totti, durante Udinese-Roma, quando insultò per tre volte consecutive l’arbitro Rizzoli, senza incappare in sanzioni. Se ne discusse per anni. La sera di quel derby, Sneijder non mandò a quel paese l’arbitro (Rocchi, ndr) con le parole, lo fece con un gesto di scherno. Parole, gesti, rabbia. Eccessiva passione ed emotività che giocano brutti scherzi, anche ai professionisti. Professionisti, campioni, ma pur sempre uomini. Quanto costa un attimo di “eccessiva emotività”? La regola 12 non lascia scampo. Insigne, come Cristante, deve giustamente pagare l’errore, perchè il regolamento è uno, opinabile, ma imperativo sempre, per tutti i professionisti. Non di discute, non si transige.
Il punto riflessivo è: Regolamento sempre? O buon senso leggendo il momento? Gli arbitri non sono psicologi né educatori ma, innegabilmente, sono coloro che dirigono il match e, le loro decisioni, influiscono sullo stesso. La famose teoria del “chiudere un occhio” ma, è altrettanto vero che, è inutile dire ad un bambino di 6 anni della scuola calcio: “Porta rispetto ai compagni, agli avversari e all’arbitro”, se poi il giorno dopo può rispondere: “Mister, ma ieri il capitano del Napoli ha insultato l’arbitro!”. E si provi ad immaginare, se poi non fosse stato espulso. Un pendolo costante che oscilla tra la razionalità e, al contempo, la responsabilità. La razionalità di capire che, davanti a te, ci sono uomini, con i loro caratteri, le loro esternazioni e le loro fragilità emotive. Contemporaneamente, però, vi è anche la responsabilità dei professionisti che, nonostante stiano giocando a pallone come da bambini, ora lo fanno davanti a milioni di appassionati, migliaia di emittenti televisive. Un pubblico di ogni fascia d’età. Perché da sempre, e per sempre, il calcio è di tutti, anche di chi, un occhio, non lo vuole chiudere perché, giustamente, c’è un regolamento chiaro. Ai posteri l’ardua sentenza.