Serie A

Inter, Lautaro rivela: “Ho preso medicine per giocare la finale di Champions”

Lautaro svela un retroscena che riguarda la finale di Champions League dello scorso anno e le sue condizioni fisiche che non gli hanno permesso di arrivare al meglio all’appuntamento più importante.

Le condizioni fisiche erano tutt’altro che ottimali, ma il senso del dovere è stato più forte di tutto. Lautaro Martinez svela un retroscena importante riguardo alla finale di Champions League della scorsa stagione, quando l’Inter si è piegata al Manchester City a Istanbul.

Tanti i rimpianti quella sera per i nerazzurri, fra le occasioni fallite e la possibilità concreta di vincere contro una squadra di altissimo livello. E c’è anche un altro motivo per recriminare per la squadra di Simone Inzaghi.

Ai microfoni di Star+ infatti, Lautaro racconta delle varie vicissitudini che ha vissuto nella tormentata scorsa stagione: “I primi mesi di campionato ho giocato con un problema alla caviglia. In quel periodo rimanevo solo io come attaccante perché Lukaku e Correa si erano infortunati”.

Lautaro sulla Champions League: “Ho preso medicine fino a poco prima della finale”

Lautaro, il sacrificio per l’Inter – OneFootball

Lautaro prosegue con una rivelazione sulla finale di Champions League: “Fino a poco prima della partita ho preso medicine per poter giocare. Ho giocato prendendo pastiglie e facendo infiltrazioni”.

Anche al Mondiale la situazione non era delle migliori: “Prima della partita con gli Emirati Arabi ho chiesto a Scaloni di farmi riposare per arrivare in buone condizioni all’appuntamento. Ho fatto un’infiltrazione per giocare con l’Arabia Saudita e mi faceva molto male la caviglia. E anche contro il Messico non potevo fare di più”.

La sofferenza è stata molta: “Il dolore non mi permetteva di allenarmi bene e di calciare col collo del piede. Ho continuato a provarci ma poi è diventato impossibile, la caviglia stava perdendo sensibilità. Mi sono chiudo in me stesso e ho pianto molto. Per fortuna avevo la mia famiglia vicino a me”.

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Published by
Alberto Zamboni