Inter Campione d’Italia: uno Scudetto di squadra tra stabilità e crescita
L’Inter è pazza, manca sempre il salto di qualità, i giocatori arrivano all’Inter e peggiorano le proprie prestazioni, l’Inter arriva a gennaio e poi sparisce. No, da quest’anno non è più così. L’Inter ha vinto il suo 19° Scudetto e l’ha fatto sfidando e battendo un’indole che negli ultimi anni l’aveva relegata a comparsa del campionato. Merito di Luciano Spalletti che ha preso una squadra quattro anni fa riportandola nell’Europa che conta. Merito soprattutto di Antonio Conte che ha portato la mentalità vincente, la bellezza del lavoro e della fatica per raggiungere un obiettivo, la fame e la voglia di non accontentarsi mai. L’Inter vince lo Scudetto grazie alla stabilità di risultati e ad una crescita che ha coinvolto tutto il gruppo sia tecnicamente sia mentalmente.
Antonio Conte è arrivato all’Inter nel 2019. La squadra aveva ottenuto due qualificazioni consecutive alla Champions League all’ultima giornata e con la classica pazzia unita al brivido che contraddistingueva l’animo nerazzurro fino a quel momento. Il tecnico salentino ha subito puntato a creare una precisa identità nella squadra: lavoro, obiettivi, mentalità. Tutti sono protagonisti, tutti sono fondamentali compresi quelli che hanno avuto meno spazio. In campionato questo ha subito avuto degli effetti positivi, in Champions League, invece, è mancato e manca ancora qualcosa. Forse, però, è proprio il percorso in Europa League della scorsa stagione ad aver sbloccato l’ambiente Inter. La lotta per un titolo a dieci anni di distanza ha ricaricato tifosi, società e una rosa ancora acerba su quel versante.
Questa stagione è partita con alcuni punti fermi e tante incognite. In poco tempo le certezze sono sempre più aumentate. Una difesa che da perforabile diventa granitica con Skriniar, De Vrij e Bastoni. Brozovic leader in regia e Hakimi imprendibile sulla destra. Barella motorino instancabile a centrocampo che crea e sa segnare. Lukaku e Lautaro Martinez che formano la seconda coppia più prolifica in Europa. Poi Handanovic, il capitano che è rimasto sempre nonostante tutto, che fa i miracoli al Derby e all’andata con il Napoli e che tradisce con qualche errore di troppo. E alla fine i due assi dalla manica a gennaio: Eriksen e Perisic. Dal passo d’addio al salto di qualità.
La storia tra Eriksen e l’Inter è degna dei romanzi sentimentali. Accolto come il campione che mancava da anni, comparsa nelle prime uscite, messo da parte nel finale della scorsa stagione. Quest’anno trattato come l’ultima ruota del carro e spesso umiliato con ingressi nei minuti finali, ma il danese è sempre stato un professionista. A dicembre era fuori dal progetto e per la società e il tecnico doveva partire. Poi il Derby di Coppa Italia come la freccia di Cupido ed è scoccato l’amore. Eriksen è diventato fondamentale nel centrocampo nerazzurro. Lui e Conte si sono venuti incontro e a trarne i benefici è stata l’Inter.
Per Perisic è stato tutto molto simile. L’anno scorso mandato al Bayern perchè incompatibile con il progetto tattico, quest’anno reintegrato e messo stabilmente in panchina. Il croato ha lavorato e ha imparato ad essere un ottimo esterno di fascia a sinistra. Il suo apporto è stato molto importante a tal punto da panchinare Young e da diventare titolare fisso.
Conte ha fatto crescere la squadra e ha fatto raggiungere un traguardo che mancava all’Inter da 11 anni. Una squadra di buoni giocatori è diventata una squadra di vincenti. Un girone di ritorno con numeri eccezionali che ha creato un margine enorme con tutte le altre concorrenti. L’unico dispiacere è non poter gioire con i propri tifosi, ma le emozioni che hanno ricevuto superano anche questa piccola mancanza. Ha ragione Conte, questa Inter è entrata nella storia.