“L’uomo è nato per conquistare a fatica ogni centimetro di terreno. Nato per lottare, nato per morire.” (Charles Bukowski)
Queste parole risuonano incessantemente nelle tempie di chi, geneticamente, ha nella vittoria, nel traguardo, nel successo un tratto marcato del proprio DNA.
La scalata verso l’agognato desiderio è il più bel ricordo che si possa conservare, di gran lunga superiore al gusto dell’obiettivo raggiunto.
Se poi il risultato dei tuoi sacrifici altro non è che un mero diritto, la sete di conquista lascia spazio all’appagamento dell’esser finalmente come tutti.
Una normalità straordinaria
Nell’estremità del Medio Oriente tutto ciò è realtà.
Tra le più antiche civiltà del globo. Per secoli nota agli occidentali come Persia.
Non soprende, dunque, che il simbolo dell’Iran sia la sua capitale Teheran, il cui nome sta letteralmente a significare “coloro che cacciano o sparano”.
Una sete di conquista atavica, implacabile.
Nata come piccolo villaggio a pochi chilometri dalla storica città Ray, Teheran diviene capitale tra il 1553 ed il 1554 su ordine del Sovrano della dinastia dei Safavidi, preoccupato di ergere una cinta muraria imponente per vanificare l’offensiva dell’Impero Ottomano.
Le cronache ed i reportage hanno alimentato nel corso degli anni il carattere quasi favolistico della civiltà persiana, con colori e atmosfere da “mille e una notte” tese a romanzare uno spaccato umano che,al contrario, risulta drammatico sotto diversi aspetti.
Teheran e l’Iran, fino all’alba del ventesimo secolo, si sono ritrovate imprigionate in un medioevo a colori, una guerra fratricida tra potere temporale e spirituale, una finta modernizzazione per biechi fini propagandistici volta ad aumentare esponenzialmente il peso del regime militare a danno delle legittime aspirazioni dei singoli.
Analfabetizzazione, discriminazioni a danno del genere femminile, diritti umani calpestati.
Così la Persia si affacciava sulla Rivoluzione nel gennaio del 1978. Una trasformazione solo apparente.
Il peggior conservatorismo dietro la maschera del cambiamento.
Da un eccesso all’altro. L’economia capitalistica cede il passo all’autarchia, al nazionalismo.
L’apertura al mondo occidentale viene oscurata da politiche culturali populiste ed islamiche.
Un uomo solo al comando, l’Ayatollah Khomeyni.
Lo sport ha sempre avuto un ruolo cardine nei regimi totalitari. Rappresentazione della potenza e dell’identità nazionale.
Unica forma di svago per un popolo oppresso che vede nella gesta dei propri miti l’unica possibilità di evasione da un triste destino.
La passione di Teheran per il calcio non ha nulla da invidiare alle tifoserie più patinate e maggiormente pubblicizzate nel mondo.
Come ogni piazza che si rispetti le annate sportive sono scandite da un’accesa rivalità tra le squadre cittadine.
Sì, i derby esistono anche nell’Estremo Medio Oriente.
Uno scontro tra due modi di essere, due filosofie di vita, due stili contrapposti.
La squadra che nell’immaginario collettivo rappresenta il popolo contrapposta ai “bauscia”, la ricca borghesia.
FC Persepolis – Esteghlal FC
La genesi dei due club è, ca va sans dire, diametralmente opposta.
I blu dell’Esteghlal vedono la luce nel 1945, in seguito ad una “folgorazione” avuta da tre militari dell’esercito iraniano.
Il calcio è poco conosciuto, ancor meno praticato.
Lo sport più seguito è il ciclismo. Non a caso lo stemma dei blues di Teheran è una bicicletta.
Fioriscono giovani talenti. La dinamica del gioco favorisce il coinvolgimento degli spettatori.
L’espansione dell’idea rivoluzionaria è rapida.
Il pugile Ali Abdo, di ritorno in patria dagli Stati Uniti, fiuta il business fondando il Persepolis Athletic and Cultural Club.
E’ l’inizio delle ostilità. Sportive, si intende.
Il 5 aprile del 1968 è la data da incorniciare per gli amanti del calcio iraniano, il giorno del primo “Sorkhaby Derby”.
Il testa a testa è sfiancante.
Persepolis ed Esteghlal si dividono equamente i primi titoli nazionali del campionato persiano.
I reds di Teheran si concedono il lusso di infliggere una clamorosa scoppola ai cugini. Il 6 settembre 1973 il tabellone non ammette repliche.
Persepolis-Esteghlal 6-0.
I blues vendicheranno con gli interessi l’onta subita, divenendo la squadra iraniana più titolata in ambito nazionale ed internazionale con 8 campionati, 7 coppe nazionali e ben due Champions League asiatiche nel palmarès.
La Rivoluzione iraniana frenerà le velleità di crescita delle due compagini che stenteranno e non poco a trovare capitali e strutture adeguate per il loro sviluppo.
Gli anni ’90 risolleveranno le sorti dei due club e del loro storico antagonismo.
Le polemiche arbitrali non possono mancare. L’11 gennaio 1995 è la data spartiacque.
L’Esteghlal vince in rimonta la stracittadina grazie ad un arbitraggio pittoresco e ad un rigore inesistente. Gli animi sugli spalti sono esagitati, i tafferugli estremamente violenti.
Con il lodevole fine di arginare gli eccessi di match ad alta sensibilità agonistica l’Iran si apre al football occidentale, utilizzando arbitri stranieri per gli incontri di cartello.
La tragedia della narrazione sportiva tocca il suo apice nell’ultima giornata del campionato 2000-2001.
I blues di Teheran hanno dominato il torneo in lungo e in largo. Si presentano all’epilogo, in casa del modesto Malavan, da campioni in pectore.
I reds, invece, ospitano allo Stadio Azadi il Fajr Sepasi.
Sono certi del secondo posto. Nonostante siano solamente due i punti a separarli dalla vetta non nutrono grandi speranze, troppo semplice l’impegno degli acerrimi rivali.
Tutto il mondo è paese.
Come la Juventus nel diluvio di Perugia, come l’Inter nell’harakiri a Roma il 5 maggio 2002, anche l’Esteghlal decide per l’ammutinamento, soccombendo a sorpresa fuori dalle mura amiche e consegnando il titolo ai tanto osteggiati cugini del Persepolis.
L’attualità vede i rossi una spanna sopra i blu.
Il trionfo negli ultimi due campionati e i numerosi anni di oblìo dell’Esteghlal hanno portato i Pirouzi a primeggiare in città.
Neanche l’avvento di un allenatore italiano come Stramaccioni sulla panchina dei bauscia ha sortito l’effetto sperato.
Solo una cruda illusione
Una cavalcata trionfale verso la vetta della classifica interrotta sul più bello da problemi extra campo.
Motivi che hanno portato il mister romano a dimettersi, scatenando la rabbia dei tifosi riversatisi in massa sotto la sede del club con le conseguenti dimissioni del Presidente Amir Hossein Fathi.
I tifosi dell’Esteghlal sanno bene che non serve a nulla perdersi d’animo. Torneranno i trionfi, i festeggiamenti, le lacrime di gioia.
E’ solo questione di tempo e di fatica.
L’ennesima conquista sarà ancor più bella da assaporare.