In viaggio con CIP – Santiago del Cile e il coraggio dei “gatti della montagna”

In viaggio con CIP – Santiago del Cile e il coraggio dei “gatti della montagna”

(Photo credit should read HECTOR GUERRERO/AFP via Getty Images)

11 settembre 1973. 

Santiago del Cile si sveglia di soprassalto. 

Blindata, assediata da forze militari, bombardata da caccia di fabbricazione britannica.

E’ l’inferno

Le forze armate cilene, guidate dal Generale Augusto Pinochet, hanno dato il via al golpe che rovescerà il governo eletto democraticamente e presieduto da Salvador Allende.

Il giorno più nero nella storia del popolo sudamericano. 

Le ultime parole del Presidente asserragliato a La Moneda, pronunciate alla radio di stato, rappresentano un drammatico inno alla libertà ed alla resistenza per la tutela  dei diritti del singolo: “Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano, ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento.”

Frasi precise, dettate dallo spirito battagliero e puro dei nativi cileni. 

La purezza dei princìpi e delle intenzioni unita alla determinazione che porta a combattere sempre, lealmente, per la vittoria. 

Valori portati avanti dallo storico condottiero Colocolo, capo dell’etnia Mapuche. 

Vertice dell’esercito che nel 1553 sconfisse nella Battaglia di Tucapel gli invasori spagnoli guidati da Pedro de Valdivia. 

Santiago del Cile trae la sua origine proprio grazie all’invasione spagnola. Viene fondata il 12 febbraio del 1541.

Fino agli anni ’30 del Novecento era una cittadina di modeste dimensioni, con pochi edifici.

Successivamente la fiorente industria di estrazione del nitrato permise al Cile ed alla sua futura capitale una rapida espansione economica, accompagnata da una ristrutturazione urbanistica della città con la costruzione del Barrìo Civico.

Oggi è il principale centro finanziario, commerciale e culturale del Paese, terza città sudamericana per qualità della vita.

Cosa vedere a Santiago del Cile | Guida di Viaggio

E’ curioso come nella storia della squadra di calcio più titolata del Cile si mescolino i vissuti di chi è stato nemico di battaglia. 

Scontri sanguinosi per la difesa del proprio territorio, della propria identità, della propria libertà.

Da una parte la faccia fiera, scavata, sofferente del popolo.

Dall’altra la tracotanza, lo sguardo di sfida, di superiorità degli invasori.

Il Colo Colo è un condensato di tutto ciò

Andres Pina/Photosport Hinchas de Colo Colo protestan en las afueras del Monumental, 30/09/2020

E’ la squadra di Santiago, eppure deve il suo nome dal leader Mapuche.

Miseria e nobiltà, classe patrizia ed orgoglio plebeo

Vede la luce nel 1925, in seguito alla diaspora di alcuni giocatori del Club Social Y Deportivo Magallanes dovuta al mancato pagamento di alcuni stipendi ed all’esigenza che il club venisse convertito ad una struttura professionale.

A capeggiare la fronda dei ribelli vi è David Arellano, talento purissimo La Roja.

Le riunioni sono frequenti e fitte. L’idea iniziale è quella di aggregarsi ad una squadra già esistente. 

Il danaro non abbonda nelle tasche degli “scissionisti”, l’istituzione ex novo di un club è il classico passo più lungo della gamba.

Arellano, tuttavia, è irremovibile. Il segnale da dare al mondo del calcio cileno è chiaro. 

Purezza, serietà, sportività

Occorre gettare le basi per una ventata d’aria fresca, di novità, di distinzione.  Il neonato Colo Colo Football Club deve affrancarsi dalle vecchie e pessime abitudini del mondo del calcio. 

Il manifesto di Arellano e compagni è pronto. La divisa sarà bianca con pantaloncini neri, colori raffiguranti i valori cardine della nuova squadra.

Cacique partono subito forte vincendo la Liga Metropolitana alla loro prima partecipazione, non incappando in alcuna sconfitta.

La striscia di risultati positivi consecutivi è impressionante, a tal punto da affibbiare ai bianconeri l’appellativo di “Invencible”.

La fama del Colo Colo travalica i confini nazionali, portando i cileni ad affrontare i loro primi tornei internazionali in Portogallo ed in Spagna.

Il 2 maggio 1927 il romanzo dei bianconeri subisce un terremoto. 

Il capitano e fondatore del Colo Colo, leader della nazionale cilena, David Arellano, muore improvvisamente il giorno seguente il match amichevole disputato a La Coruna contro il Valladolid.

La diagnosi è beffarda. Un banale contrasto di gioco ha prodotto una lesione interna, causa di una peritonite fulminante.

Per Arellano non vi è stato scampo. Il lutto è di proporzioni epocali. 

Gli insegnamenti del Mapuche Colo Colo, però, sono scolpiti nella pietra. Un guerriero combatte, senza mai arrendersi e senza mai perdere. 

La morte è solamente una particella infinitesimale nell’immenso puzzle della vita.

Cacique riprendono il loro percorso dallo stesso punto e nello stesso modo in cui lo avevano temporaneamente arrestato. La vittoria.

Tra il 1937 ed il 1963 i bianconeri conquistano ben nove campionati cileni ed una Coppa Chile.

Molti dei giocatori Albos diventano delle vere e proprie leggende. 

Emblematico è l’esempio dei fratelli Ted e Jorge Robledo, emigrati pochi anni prima in Inghilterra nelle fila del Newcastle United e rientrati in patria come delle rockstar.

I “sette anni di siccità” per la bacheca del Colo Colo verranno presto dimenticati. 

Sorge il tempio dei bianconeri, l’Estadio Monumental David Arellano. 

Estadio Monumental David Arellano - Macul, Cile | Sygic Travel

Tra il 1970 ed il 1990 arriveranno altri nove titoli nazionali e il tripudio in Copa Libertadores, nel 1991, contro i paraguayani dell’Olimpia Asuncion.

Cacique, ad oggi, sono l’unico club cileno ad aver trionfato nella massima competizione sudamericana. I bianconeri si concederanno il lusso di eliminare veri e propri colossi del calcio latino americano quali il Nacional ed il Boca Juniors.

La favola si interromperà sul più bello, sul traguardo della Coppa Intercontinentale disputata a Tokyo contro la Stella Rossa di Belgrado. Il 3-0 subìto lascia poco spazio a recriminazioni.

Le difficoltà economiche dei primi anni 2000 non freneranno il DNA vincente del Colo Colo. I titoli nazionali arriveranno copiosi, così come i numerosi talenti coltivati nella propria cantera e offerti al grande calcio internazionale.

Del resto nelle file degli Albos sono nati calcisticamente top player del calibro di Ivan Zamorano, Arturo Vidal, Claudio Bravo, Alexis Sanchez, Claudio Borghi. 

Non propriamente gli ultimi arrivati.

Gente che ha arricchito incessantemente le bacheche dei club di appartenenza ed il proprio palmarès.

La tifoseria del Colo Colo non può che possedere gli stessi geni dei Cacique.

La frangia più accesa ha nella Garra Blanca (Artiglio Bianco) gli assoluti protagonisti.

(Photo credit should read NELSON ALMEIDA/AFP via Getty Images)

Una muraglia umana che segue i bianconeri in ogni città e in ogni stadio in cui scendono in campo.

Il gruppo nasce nel 1986 come movimento di protesta nei confronti del regime dittatoriale instaurato da Pinochet. 

Le adesioni fioccano, specie all’interno dei settori più emarginati della popolazione cilena. 

Come spesso, purtroppo, accade il calcio diventa un pretesto per sfogare i rigurgiti di violenza. 

La guerriglia della Garra Blanca nei confronti della polizia nazionale e degli altri gruppi di tifo organizzato diviene in pochissimo tempo tristemente nota in tutto il Sudamerica.

Un’inchiesta giornalistica del 2014 smaschera addirittura un rapporto di non belligeranza, legato a favori di tipo economico, tra gli ultras del Colo Colo e parte della dirigenza. Fenomeno non nuovo al mondo del calcio, a tutte le latitudini.

Definire i bianconeri del Colo Colo semplicemente una squadra di calcio è un eufemismo. 

L’essenza sta nel significato del nome del condottiero Mapuche.

Colo Colo vuol dire, letteralmente, gatto di montagna

Tenacia, sofferenza, piegarsi ma non spezzarsi. Non è mai finita, anche quando lo sembra.

La storia dei Cacique lo insegna. 

John Lennon ripeteva spesso “Alla fine andrà tutto bene. Se non andrà bene vorrà dire che non è la fine.”  

Per chi  ha sette vite come i gatti questa è un’ovvietà.