In viaggio con CIP – Le primule di Urawa
Esistono abiti scomodi, vite tormentate, presenze ingombranti.
La sensazione che accomuna queste situazioni è la medesima. Anche solo per un istante si desidera ardentemente di scappare, cambiare, ripartire da zero.
Rinascere.
Un pezzo fondamentale della storia del Giappone si basa sul significato di questo verbo.
La terra del Sol Levante fa i conti con gli effetti disastrosi causati dal secondo dopoguerra.
La ferita dei bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki è impossibile da rimarginare.
La firma del Trattato di San Francisco nel 1951 e la fine dell’occupazione militare statunitense permetteranno al paese nipponico di concentrarsi sulla propria espansione economica.
Il prezzo accessibile del petrolio e l’intermediazione del Governo negli affari con gli Stati Esteri consentirà al Giappone, in un solo decennio, di divenire la terza potenza economica mondiale, dopo Stati Uniti ed Unione Sovietica.
La crescita finanziaria avviene di pari passo con quella demografica ed urbanistica.
L’area metropolitana di Tokyo comincia ad estendersi per decine e decine di km, creando delle vere e proprie città nella città.
Tra queste, Urawa rappresenta pienamente il concetto di resurrezione giapponese.
Nata nel 1889 come un piccolo villaggio, riesce in poco più di quarant’anni ad elevarsi allo status di città.
Bombardata per ben due volte dalle forze alleate, nell’aprile e nel maggio 1945, progetta la sua rinascita, come una formica operosa mette da parte le provviste necessarie per il rigido inverno.
Importante centro amministrativo e sede di numerosi mezzi di comunicazione, contribuisce nel 2001 alla genesi di Saitama, città designata dal governo nipponico e nascente dalla fusione di Urawa, Omiya, Yono e Iwatsuki.
Saitama ha le idee chiare. Diviene uno dei principali centri di commercio dell’area di Tokyo. Fioriscono le industrie automobilistiche, di cibo, di prodotti farmaceutici, ottici e di precisione.
La neonata emette i primi vagiti, in un crescendo rossiniano comincia prima a camminare e, di lì a breve, a correre.
La cultura nipponica individua il lavoro quale principale forma di realizzazione umana
Su queste basi lo svago assume un ruolo di prim’ordine, quasi vitale, all’interno del risicato tempo libero concesso.
La Mitsubishi, principale impresa presente sul territorio di Urawa, con astuta mossa aziendale, nel 1950 si fa carico della fondazione della squadra calcistica degli Urawa Red Diamonds.
Si tratta di un club dilettantistico.
Il calcio è uno sport poco diffuso nel paese del Sol Levante e appare quasi blasfemo iniettare capitali economici rilevanti in quello che, di fatto, viene considerato esclusivamente come un hobby.
Non va dimenticato che la Guerra è terminata da poco meno di un lustro, non un dettaglio di poco conto.
Il simbolo prescelto per accompagnare i Diamanti Rossi di Urawa è la Primula Sieboldii
Non può trattarsi di pura casualità.
Gli esperti ed appassionati di botanica sanno che la primula è il fiore della rinascita, della speranza, di un nuovo inizio. Esattamente ciò che sta vivendo il Giappone e, nel suo piccolo, la città di Urawa.
Il primo acuto viene vissuto nel 1969, con la vittoria del primo titolo nazionale.
I Reds sono alla loro quarta partecipazione alla Japan Soccer League, forma embrionale del campionato di massima serie.
La società è seria e ben strutturata, la squadra si dimostra da subito competitiva per ambire ad un ruolo di primissimo livello nel calcio nipponico.
La crescita è esponenziale.
Nel 1978 consegna il loro nome al firmamento calcistico giapponese, conquistando Campionato, Japan Soccer League Cup e la Coppa dell’Imperatore.
L’interesse del popolo per il football viaggia di pari passo con il miglioramento del livello tecnico delle competizioni.
Il passaggio al professionismo è la prosecuzione naturale del percorso intrapreso all’alba degli anni ’50, rivelandosi, tuttavia, un’arma a doppio taglio per i Reds.
Sul finire degli anni ’80, infatti, gli upgrade della squadra di proprietà della Mitsubishi si arrestano.
La filosofia dell’azienda nipponica non contempla l’ingaggio di giocatori stipendiati esclusivamente per la disputa delle partite.
I tifosi dell’Urawa Red Diamonds subiscono l’onta della retrocessione in seconda divisione.
Una profonda ristrutturazione dirigenziale consentirà ai Diamanti Rossi di risorgere dalle ceneri del Purgatorio e di ritornare in massima Serie.
L’accelerata decisiva arriverà dall’apertura delle frontiere ai calciatori provenienti da paesi esteri.
Nel calcio del Sol Levante piombano improvvisamente top player del calibro di Leonardo, Totò Schillaci, Daniele Massaro.
Il mondo pallonaro guarda con un misto di curiosità e tenerezza questo calcio rudimentale per i canoni europei.
Gli Urawa Reds ingaggiano i tedeschi Bein e Buchwald, riposizionandosi nel lotto delle pretendenti al titolo.
Il ventunesimo secolo amplia considerevolmente la bacheca dei Reds.
Il palmares si arricchisce di 3 Coppe dell’Imperatore, 1 Japan League Division, 2 Coppe Yamazaki Nabisco, 1 Supercoppa Giapponese.
Gli Urawa Red Diamonds diffondono il loro verbo calcistico al di fuori dei confini nazionali.
Trionfano per ben due volte nella Champions League Asiatica (2006 e 2017), si aggiudicano la prestigiosa Copa Suruga Bank contro i brasiliani della Chapecoense nel 2017 e si collocano sul gradino più basso del podio nella Coppa del Mondo per Club del 2007, alle spalle di Milan e Boca Juniors.
Not bad
L’immagine di un club così all’avanguardia non può che rispecchiarsi nelle infrastrutture utilizzate.
Il Saitama Stadium 2002, costruito appositamente per i Campionati del Mondo in Corea e Giappone, è un gioiellino da 64000 posti, celebrato come un luogo di culto nei videogiochi a tema.
La passione per i Diamanti Rossi di Urawa è accesa, incandescente.
La tifoseria organizzata è internazionalmente riconosciuta tra le dieci compagini di supporters più calde a livello mondiale.
Coerografie e striscioni rendono la Curva Reds un tripudio di colori, esaltato dall’estrema vicinanza al terreno di gioco.
L’atmosfera che si respira al Saitama Stadium 2002 non ha nulla da invidiare alla KOP di Liverpool o al Muro Giallo di Dortmund.
La pelle d’oca è reale
Una vecchia campagna pubblicitaria recitava “La potenza è nulla senza controllo”.
Capita, dunque, che anche in terra asiatica la curva venga maldestramente utilizzata per scopi politici.
Nulla di paragonabile ai tristi episodi europei, in special modo italici, sia chiaro, ma tant’è.
Protagonisti della vicenda sono gli Urawa Boys, frangia del tifo organizzato, che nel 2014 espongono uno striscione con la scritta “Japanese Only”.
La Lega professionistica lo giudica discriminatorio, costringendo i Reds a giocare a porte chiuse il match seguente, primo ed unico caso in Giappone.
La punizione per i Diamanti Rossi di Urawa comporta, inoltre, una perdita di circa 300 milioni di Yen e lo scioglimento dello stesso gruppo protagonista dello striscione.
Guai a mischiare il sacro con il profano nella terra del Sol Levante.
L’epopea degli Urawa Red Diamonds insegna che reinventarsi, ripartire, mettersi in gioco è una delle maggiori forme di coraggio.
Concedersi alibi è la rappresentazione materiale della pigrizia, della mancanza di carattere.
Spesso l’anima ha bisogno di coraggio per schiudersi ed aprirsi al mondo. Come una primula quando fiorisce.