Meteora.
Nel gergo quotidiano indica un’esistenza breve ma intensa.
Un passaggio nel cielo repentino, fulmineo, seppur spettacolare. Un segno tangibile di una possibile evoluzione.
Nel cuore della Colombia, per interi secoli, Bogotà ha convissuto con una fama piuttosto scomoda.
La città con la peggiore nomea dell’intero globo terracqueo.
Narcotraffico, violenza, guerriglia urbana. Serie televisive di successo ad alimentare la crescente mitologia sviluppatasi attorno ai padroni del cartello della droga.
La capitale sullo sfondo, come un insignificante dettaglio, un riempitivo, l’inutile pennellata tesa unicamente ad inquadrare il contesto geografico delle gesta di personaggi discutibili.
Il vero cancro della società cafeteros. L’equazione è fin troppo scontata.
Chi ama scavare al di sotto di una coltre superficiale si troverà di fronte una meravigliosa sorpresa.
Una metropoli colorata, da gustare, in cui è meraviglioso perdersi.
Terza capitale sudamericana per altitudine, dopo La Paz e Quito, situata a 2640 metri sul livello del mare.
Fondata nel 1539 dall’esploratore spagnolo Gonzalo Jimenez de Quesada è diventata nel corso dei secoli il più grande centro educativo del paese, con un sistema scolastico all’avanguardia.
Il crimine organizzato ha lasciato spazio ad un apparato di sicurezza di prim’ordine che ha permesso al turismo di esplodere in modo clamoroso, sostenuto da una massiccia campagna pubblicitaria istituzionale.
Sede del Festival Iberoamericano de Teatro e di quello Estèreo Picnic, per intere settimane centri nevralgici d’arte internazionale.
Madre de El arte del futbol.
Già, perché sessant’anni fa Bogotà e la Colombia erano il centro del mondo calcistico universale.
Il merito è di due giovani studenti che nel 1937, quasi per gioco, fondano il Millonarios Footbal Club.
L’intento è quello di passare del tempo insieme agli amici di sempre. Un modo per tenersi d’occhio, non perdersi di vista una volta terminati gli studi.
Quando la tua strada si incrocia con quella del più importante dirigente sportivo colombiano di tutti i tempi il calcio non può esser più relegato alla voce hobby.
Alfonso Senior Quevedo è un trentaquattrenne appassionato di futbol. Con un bagaglio pieno di sogni è partito dalla città natale Barranquilla per cercar fortuna nella capitale.
Come spesso accade un ruolo cardine è rappresentato dalle giuste conoscenze.
Grazie ad un amico riesce ad entrare nella dirigenza del Deportivo Municipal, una delle più note squadre locali di Bogotà.
Quevedo è accecato dall’ambizione. Un autentico visionario. Non si accontenta di vincere, vuole stravincere.
L’ambiente colombiano gli sta stretto, incantare il mondo è il suo obiettivo.
Lo stratagemma è a portata di mano. Il campionato argentino sta vivendo un periodo di forti tensioni.
I calciatori spingono la Federazione, vogliono un sindacato di categoria.
Gli stipendi medi sono miseri, gli introiti dei club sono stellari. Una contraddizione in termini.
L’ingegno è vedere una possibilità dove altri non la vedono.
Il dirigente colombiano comincia a corteggiare gran parte dei ribelli. Il danaro è un grande strumento di persuasione, specie per chi è costretto a lottare per veder riconosciuto il proprio lavoro.
E’ l’alba del 1948. La Primera Division verrà sospesa alla venticinquesima giornata. Si assisterà alla diaspora dei principali calciatori verso la neonata DiMayor, la nuova Lega dei Cafeteros.
Nel frattempo Quevedo, fiutata l’enorme possibilità di espansione, ha investito pesantemente sul futuro dei Millonarios.
L’ascesa è repentina. All’ombra del Monserrate si accasano dei veri e propri mostri sacri dell’epoca.
El Maestro Pedernera, Nestor Rossi, Alfredo Di Stefano. Gli antesignani dei Galacticos madridisti.
Ha ufficialmente inizio l’ “El Dorado”, il periodo che ha stravolto il calcio sudamericano.
Quattro anni che rappresentano il punto di non ritorno. Il lasso temporale che ha consegnato agli almanacchi uno dei club più forti di tutti i tempi.
Quattro titoli nazionali, dal 1949 al 1953.
Don Alfredo si distinguerà per una mostruosa vena realizzativa, 90 gol in 101 match disputati.
La rampa di lancio ideale per diventare una leggenda con i Blancos.
Merengues che si innamoreranno del centravanti argentino in occasione dell’anniversario per i cinquant’anni della fondazione del club.
Avversari della partita celebrativa sono proprio gli azul di Bogotà che passeggeranno sugli spagnoli con un comodo 4-2, costretti a pigiare sul pedale del freno per non umiliare i colleghi madridisti.
L’epopea della squadra più forte del mondo si conclude simbolicamente in terra iberica.
La stella cometa che si incendia a causa dell’attrito con l’atmosfera terrestre.
I successivi decenni saranno caratterizzati da frequenti problemi finanziari che mineranno la stabilità economica e sportiva del club colombiano.
Piomba sulla scena il Cartello della droga.
Il futbol nelle mani dei Narcos.
Troppo ghiotta l’occasione di riciclare tonnellate di danaro sporco per la criminalità organizzata.
I fratelli Orejuela, gli Escobar, Gonzalo Rodriguez Gacha “El Mexicano”.
Il ventennio ’70-’90 consegna le squadre di calcio ai più spietati e sanguinosi narcotrafficanti mondiali.
Le sfide tra Millonarios, America de Cali e Atletico Nacional non rappresentano più il culmine della rivalità sportiva. Sono ben altro.
Sfide che determinano il maggiore o minore potere di un clan nella malavita sudamericana. L’indotto economico è mostruoso. La compravendita delle gare una triste abitudine.
Il motto dei Narcos è “tutto ha un prezzo”.
Fioccano gli omicidi. I mandanti sono, ovviamente, i boss del Cartello della droga.
Uno “sgarro” sul terreno di gioco può comportare danni da milioni di dollari.
L’assassinio dell’arbitro Alvaro Ortega il 14 novembre 1989 è la data spartiacque.
La Federazione Colombiana, coraggiosamente, sospende il campionato.
Ironia della sorte è proprio il Millonarios ad essere in testa nel momento dell’interruzione.
Sono gli anni del riscatto sportivo per gli Azul.
Tre titoli consecutivi hanno dato nuovo lustro alla storia dei Millos.
La scintillante immagine della vittoria è offuscata, tuttavia, dal volto del Presidente “occulto” del club colombiano. “El Mexicano” Gonzalo Rodriguez Gacha, una colonna portante di un’associazione a delinquere con un fatturato da quattrocento milioni di dollari alla settimana.
La storia recente ha posto la parola fine al connubio tra calcio e criminalità.
Nel 1997 il governo colombiano ha impedito legislativamente ogni tipo di infiltrazione illegale nei club sportivi.
Nel 2012 un nutrito gruppo di tifosi Millos ha richiesto ufficialmente la revoca dei titoli vinti dai propri beniamini nel periodo storico dei narcodollari.
Vietato mischiare il sacro con il profano.
La poesia di meravigliose gesta sul rettangolo di gioco non può confondersi con lo squallore di chi, in nome del fine, giustifica qualsiasi tipo di mezzo, anche il più cruento, il più sanguinario, il più disonesto.
Del resto interi capitoli della storia del calcio sono stati scritti a Bogotà, nelle fila degli Azul.
Un’epoca così breve ed allo stesso tempo immortale.
Il destino delle meteore, un brillare fulmineo per esser ricordati in eterno.