In viaggio con CIP – Bilbao e gli idoli della porta accanto
Identità, autonomia, resistenza.
Basterebbero queste tre definizioni, apparentemente comuni, per scattare una fedele istantanea dell’umana natura dei Paesi Baschi.
Sarebbe sufficiente avventurarsi sulle sponde del fiume Nervion, fino a giungere nei pressi delle coste del Golfo di Biscaglia, per comprendere appieno il significato più puro ed autentico di questi concetti.
Bilbao è la sublimazione dell’autonomia comunitaria, della spigolosità caratteriale, inevitabile per chi si trova troppo lontano dai suoi simili e troppo vicino agli estranei. E’ una maschera imperscrutabile, pronta a cambiare volto e umore alla stessa velocità con cui muta il suo paesaggio, composto da boschi e montagne, spiagge e coste scoscese.
Fondata nel 1300 da Diego Lòpez V De Haro, nobile castigliano, rappresenta un nodo cruciale dell’economia dell’intera Spagna. La sua area metropolitana è un concentrato di settori strategici che spaziano dall’energia, all’industria, dall’acciaio all’automazione.
Identità non è sinonimo di chiusura mentale, tutt’altro
Vuol dire saper approcciare al mondo che ti circonda, ponendo alla base un’idea nitida sulle proprie origini e sul proprio cammino.
La conferma è dipinta nell’evoluzione dei costumi e delle tradizioni bilbaine, legata a doppio filo con il rinnovamento urbanistico della città.
Un’escalation vertiginosa creatasi attorno alla principale attrazione turistica, il museo d’arte contemporanea Guggenheim Museum di Bilbao, inaugurato nel 1997.
Apertura mentale significa anche saper adattare la propria cultura, i propri principi cardine, le proprie convinzioni, a quanto di interessante viene generosamente offerto dalle diverse civiltà. Senza snaturarsi, è ovvio.
Il calcio è l’esempio lampante della commistione di tradizioni, umanità e sapere presente nei Paesi Baschi, in particolar modo a Bilbao.
La squadra della gente del Golfo di Biscaglia vede la luce nel 1898.
Se passate dalle parti di Bilbao, mi raccomando, non azzardatevi per alcun motivo a chiedere informazioni sulla squadra dell’Athletic Bilbao.
“Bilbao” viene utilizzato in modo dispregiativo dai tifosi avversari. L’identità basca verrebbe fuori tutto d’un tratto in modo dirompente e poco diplomatico.
La squadra dei bilbaini è l’Athletic Club
La “h”, temporaneamente abolita tra il 1939 ed il 1976 per divieto del regime franchista, è l’esaltazione identitaria dei baschi.
Il porto di Bilbao è meta gettonatissima delle navi inglesi che attraccano nel golfo di Biscaglia per rifornire l’industria nascente basca. Il suono dell’idioma inglese diventa quasi più familiare di quello indigeno. Le famiglie benestanti bilbaine assicurano ai giovani rampolli un percorso accademico di tutto rispetto, scegliendo per loro i migliori college del Regno Unito.
Così, quasi per caso, gli universitari baschi, di ritorno dalla Gran Bretagna, decidono di importare questo gioco, così accattivante quanto complicato nelle regole, in cui istinto e strategia convivono condividendo in autonomia i propri spazi, in altre parole football.
Al gemellaggio con l’Inghilterra l’Athletic deve, inoltre, la genesi dei suoi colori sociali.
Nell’idea dei fondatori e dei dirigenti la squadra avrebbe dovuto indossare delle maglie a scacchi bianchi e blu, tonalità ufficiali della provincia della Biscaglia, simili a quelle dei Blackburn Rovers.
Trovare uno stock di divise identiche sufficienti per l’intera rosa non era, per l’epoca, impresa di poco conto.
Fu così che Juan Elorduy, membro dello staff bilbaino, poco prima di rientrare alla base, “saccheggiò” le uniformi a strisce verticali bianche e rosse della squadra locale di Southampton, ironia della sorte i medesimi colori della città di Bilbao.
L’Athletic irrompe nel calcio professionistico all’alba del 1910.
Quasi come a voler aprire un conto con il proprio futuro, i biancorossi trionfano in finale di Copa del Rey contro i dirimpettai di San Sebastian della Real Sociedad, ancora oggi gli storici rivali dei bilbaini.
La letteratura sull’Athletic Club comincia a fiorire copiosa, alimentata da innumerevoli leggende metropolitane che finiranno col sedimentare e affiancare pericolosamente la biografia ufficiale dei baschi.
Tra queste spicca il connubio tra calcio e politica.
La filosofia indipendentista calcistica basca viene spesso associata alla medesima filosofia, di stampo politico, portata avanti dalle comunità locali e più drammaticamente dalle organizzazioni di stampo terroristico come l’ETA, scioltasi nel 2018.
Inutile negare che i gruppi organizzati del tifo bilbaino abbiano delle simpatie politiche marcate, tuttavia rivendicano nettamente ed orgogliosamente la distinzione degli ambiti.
Al San Mamès si tifa per l’Athletic Club, non sono ammesse ulteriori distrazioni
Il tratto iconico dell’Athletic Club, il marchio di fabbrica che ha permesso di far conoscere i rojiblancos in tutto il mondo, punto di forza e al tempo stesso limite del club basco, può essere riassunto in un unico concetto, autarchia.
Regola inderogabile dei bilbaini è stata, fino all’alba del nuovo millennio, quella di comporre la propria rosa esclusivamente con giocatori di origine basca.
L’origine del dogma “Qui non passa lo straniero!”, come spesso accade nel mondo del calcio, trae spunto da un episodio fatto di dispetti, gelosie e colpi bassi che vede per protagonisti i biancorossi, la Real Sociedad e nientepopodimenoche, il Barcellona.
Copa del Rey, 1911. I catalani e i baschi di San Sebastian vengono squalificati per aver schierato tra le proprie fila dei calciatori inglesi non tesserati regolarmente.
L’Athletic Club si appresta, dunque, a vincere la sua seconda Coppa di Spagna consecutiva senza alcun patema.
Le delegazioni di Barcellona e Real Sociedad, sfruttando gli spiccati agganci politici, riescono a trovare uno scheletro nell’armadio dei Rojiblancos.
Anche dalle parti di Bilbao hanno tesserato irregolarmente due giocatori inglesi.
La federazione spagnola decide di chiudere un occhio per tutte le squadre coinvolte nel mini scandalo ed il torneo riprende regolarmente con l’unico obbligo di schierare un undici composto esclusivamente da giocatori catalani/baschi.
Si è perso solo del tempo, non c’è, comunque, gara.
L’Athletic Club trionfa nuovamente in Copa del Rey.
Complice l’euforia del momento e un proliferare di giovani talenti locali, la dirigenza bilbaina impone il diktat.
D’ora in poi sul terreno di gioco del San Mamès potranno dimorare solo giocatori dal DNA “Bizkaia”.
Le asperità del regime dittatoriale franchista non faranno altro che consolidare la filosofia indipendentista.
I baschi per i baschi
In epoca moderna si tenderà ad estendere le maglie dell’interpretazione del concetto di “origine basca”.
Si arriverà ad ammettere l’acquisto di giocatori di nazionalità diverse, purchè di scuola calcistica basca, cresciuti, dunque, nelle giovanili delle sette squadre dell’ “Euskal Herria”, locuzione che nel linguaggio locale indica la regione al confine con la Francia.
L’Athletic Club è di diritto una nobile del calcio spagnolo.
Non ingannino le origini, la spiccata filosofia indipendentista, l’acceso carattere autonomista.
Insieme al Real Madrid e al Barcellona è l’unica squadra spagnola a non esser mai retrocessa in Segunda Division.
Nel suo palmares figurano 8 campionati di massima divisione, 23 Coppe del Re, 2 Supercoppe di Spagna e una Coppa Eva Duarte, terza squadra con più titoli dopo i blancos e i catalani.
Vanta perfino una tradizione europea, fermata per due volte ad un passo dalla vetta d’Europa, prima con la Juventus nel 1976-1977 e successivamente con l’Atletico Madrid nel 2011-2012.
Hanno vestito la maglia biancorossa giocatori del calibro di Lizarazu, Javi Martínez, Fernando Llorent, Ander Herrera e Kepa.
L’anima del tifo bilbaino, tuttavia, ama la battaglia, in senso non del tutto figurato.
Si va al San Mamès per dare tutto, sugli spalti e in campo.
E’ questo quello che chiedono i supporters zurigorri ai loro beniamini. La vittoria rappresenta un plus, non necessario.
La ciliegina sulla torta di un’emozione incancellabile. Che si vinca o che si perda.
In Biscaglia ricordano perfettamente un’afosa serata agostana del 2015. Un’autentica lezione di calcio, senza appello, rifilata ai profeti del Tiki Taka di Barcellona.
Un 4-0 rotondo, rumoroso, scandaloso nella sua imprevedibilità.
La seconda Supercoppa di Spagna nella bacheca dei rojiblancos.
Eppure al tifoso biancorosso era sufficiente essere lì, ad un passo dal campo, a dare tutto fianco a fianco, idealmente, con gli undici sul terreno di gioco.
La storia dell’Athletic Club è una sintesi di tutto ciò.
La strenua resistenza con i propri valori, tradizioni, idee
Valori, tradizioni e idee che possono essere modellati, sì, seguendo l’evoluzione del mondo circostante, mai snaturati.
Le parole del cronista basco Santiago Segurola esemplificano il concetto di appartenenza dei tifosi biancorossi “Ancora oggi è difficilissimo vedere una bambino con la maglietta di Messi o di Cristiano Ronaldo. Piuttosto mostrano con orgoglio i nomi di Gurpegui, Ekiza o Iraola. Nessuno di questi è un personaggio di fama mondiale. Per la verità non sono nemmeno personaggi. Però a Bilbao sono idoli.”
Se il tuo sogno è quello di lottare accanto ai tuoi idoli diventa naturale, quasi romantico, scegliere gli idoli della porta accanto.
Rileggi il primo appuntamento di “In Viaggio con CIP – St. Pauli: quartiere a chi?”