Vi sono dei momenti, nel corso dell’ esistenza, in cui la vita vorrebbe tremendamente sottrarci ai nostri sogni.
Sono agguati del tempo che scorre, pronti a palesarsi d’improvviso quando credi di aver raggiunto una stabilità nel percorso. Servono a misurare il grado di volontà, di desiderio, di pervicacia nell’avvicinamento ai propri obbiettivi.
Cadere nei tranelli che si celano dietro questi esami è fin troppo semplice. Troppo ammalianti le sirene della strada più comoda, maggiormente redditizia sulla carta, meno rischiosa.
Lo sa bene questo ragazzone con trentasei primavere sulle spalle, occhi color verde smeraldo di un’intensità emozionale solo apparentemente negativa, che alla vita chiede esclusivamente di potersi divertire all’interno di un rettangolo di gioco.
Vedad Ibišević bosniaco di Vlasenica, al confine con la Serbia, non è un tipo banale
Come potrebbe esserlo, del resto, chi da bambino ha tirato i primi calci ad un pallone nel riecheggiare dei bombardamenti della Guerra in Bosnia ed Erzegovina, tra gli orrori della pulizia etnica e la violenta rigidità del coprifuoco?
La sua ostinazione nasce e cresce di pari passo con la sua età.
Viene notato in patria, da bambino, dal Proleter Slavonovic e dall’FK Zmaj od Bosne, minuscoli club della città di Tuzla ad una settantina di chilometri da Vlasenica.
Siamo nel bel mezzo del conflitto bellico jugoslavo e anche coltivare una passione comune come quella del calcio è un lusso che pochi, nel lungo periodo possono permettersi.
Tra i fortunati non vi è certo la famiglia di Vedad.
Raggiungere i campi d’allenamento è lungo, complicato e notevolmente pericoloso.
Così, il piccolo Ibišević deve accontentarsi di forgiare i suoi fondamentali per strada, palcoscenico che, durante l’infanzia, ti può apparire come il teatro di una finale di Coppa del Mondo.
Si fa largo l’adolescenza e la famiglia di Vedad decide di trasferirsi in Svizzera.
E’ il 2000, l’alba di un nuovo millennio. I sacrifici del 16enne bosniaco vengono riconosciuti dal Basilea che lo inserisce nel suo settore giovanile. Sarà la sua rampa di lancio?
Tutt’altro. La vita si diverte a scherzare brutalmente con il sogno di Vedad.
A soli sei mesi dall’arrivo in territorio elvetico un nuovo viaggio è alle porte.
Gli Ibišević volano al di là dell’Oceano, a St. Louis nel Missouri, nulla di più lontano dal mondo del calcio. Nel Midwest è uno sport di nicchia, quasi snobbato. A farla da padroni sono l’Hockey su ghiaccio, il baseball ed il football. L’unica attività contemplata al di fuori del tris appena descritto è il gioco degli scacchi. Una specie di incubo per il bosniaco.
Il destino, tuttavia, non ha fatto i conti con la testardaggine di Vedad che, quasi di forza, comincia a pubblicizzare a suon di gol il soccer nei campi della prestigiosa Roosevelt High School.
I gol piovono a raffica anche con la maglia della St. Louis University, dove Ibišević completa la sua formazione accademica.
Il talento oramai è esploso, i 18 gol in 22 presenze nel campionato universitario valgono la chiamata dell’Under 21 bosniaca e della MLS.
Destro, sinistro, testa, acrobazie, il giovane Vedad è un puntero completo
Se ne accorge immediatamente il suo connazionale Vahid Halilhod, tecnico del Paris St. Germain, che fa carte false per portarlo con sè in Francia.
Ibišević ed il suo futuro, però, hanno sempre quel vecchio conto in sospeso.
Halilhod non ha neanche il tempo di testare il bosniaco che, complice un avvio di campionato horror, viene esonerato.
Vedad, appena ventenne, finisce in fondo alle gerarchie della prima squadra ed il suo “treno” sembra oramai passato.
Il ragazzone di Vlasenica, tuttavia, sa di avere ancora delle frecce al proprio arco.
Accetta di retrocedere nella Serie B francese ed è proprio da lì che progetta la sua personalissima Araba Fenice.
I dieci gol in campionato col Digione valgono la chiamata in Bundesliga nelle fila dell’Alemannia Aquisgrana, neopromossa.
Ibišević ce l’ha fatta.
Si trova, finalmente, nel calcio che conta. Quello visualizzato nei trip sceneggiati, da bambino, nella sua cameretta, quando il pallone era il veicolo per sperare in un futuro lontano anni luce dal raccapriccio delle ostilità balcaniche.
Ottime annate con Hoffenheim, Stoccarda, Hertha Berlino, 132 reti. L’interesse di alcuni club italiani come Juventus, Napoli ed Inter.
La rottura del legamento crociato del ginocchio destro a 25 anni che avrebbe potuto compromettere il prosieguo della carriera ad alti livelli.
No, non quella di Vedad.
Il bosniaco si mangia la vita con la stessa fame con cui scaraventa, sovente, il pallone alle spalle del portiere.
Non gli basta esser diventato qualcuno all’estero. Vuole scrivere pagine importanti per la sua gente, per il suo paese. Caparbio come solo gli slavi sanno essere.
Detto, fatto. La storia con la Nazionale bosniaca è l’epilogo naturale di quanto fatto vedere in Germania. Diventa il quarto giocatore più presente e il secondo miglior marcatore nella storia.
Si ritrova sui piedi la sfera che permetterà alla sua Nazionale di partecipare per la prima volta in assoluto ad un Mondiale, quello in Brasile nel 2014.
Un fil rouge quello tra Ibišević e la Bosnia ed Erzegovina che di casuale ha ben poco.
A settembre riceve, inaspettatamente, la chiamata di uno dei club più gloriosi della Bundesliga, lo Schalke 04.
Una società capace, nel corso della sua storia, di vincere una Coppa Uefa a San Siro contro l’Inter, di rappresentare una realtà a livello internazionale nel primo decennio del ventunesimo secolo.
Il giusto riconoscimento per la carriera del bosniaco. Un sogno accarezzato con discrezione e imbarazzo, finalmente realizzato, non ancora del tutto assaporato.
Come nei film western in cui il cattivo, quasi morente, prova il colpo di coda finale per avere la meglio sul protagonista, la vita, che nel suo piano iniziale aveva riservato ben altro per Vedad, gioca i suoi ultimi dadi in modo beffardo.
Lo Schalke 04, infatti, versa in condizioni economiche disastrose.
Gli effetti della pandemia si fanno sentire e il passivo della società di Gelsenkirchen sfiora i 200 milioni di euro.
Anche la gestione ordinaria ed il pagamento degli stipendi dei dipendenti rappresenta un’impresa insormontabile.
Il club tedesco non può garantire l’ingaggio promesso ad Ibišević che, a 36 anni suonati, con un curriculum di tutto rispetto, avrebbe legittimamente l’opportunità di volgere lo sguardo altrove per trovare un’altra squadra.
Il condizionale è d’obbligo.
Il bosniaco è cocciuto, al di là di ogni opportunismo e convenienza economica.
Il suo obbiettivo, fin dalle prime reti siglate nei campi polverosi di Tuzla, è quello di poter giocare per un club di blasone, storico, importante. La sua sensibilità è oltre, non si piega al vil danaro.
La passione prima di tutto
Vedad accetta di giocare quasi esclusivamente per la gloria, come in un remake della propria infanzia, quando immaginare la gloria era l’unico modo per sentirsi dei bambini come gli altri.
“Lo Schalke si trova in una situazione complicata, ma io volevo giocare in Germania. Per questo abbiamo deciso che non avrò uno stipendio base, giocherò solo per i bonus. Tutto il resto lo donerò in beneficenza. Lo Schalke è lo Schalke, un grandissimo club. La sola opportunità di giocare qui è stata per me un motivo sufficiente”.
Il bosniaco si sente in debito con il mondo del calcio e intende ripagarlo.
D’altronde, grazie al futbol, è riuscito in quello in cui tutti gli altri avevano fallito prima di lui:
Prendere a schiaffi l’imponderabile e piegare il corso degli eventi
I soldi, per una volta, possono attendere.