Da qualche settimana si sta combattendo una guerra al confine tra Europa e Asia, in una regione contesa tra Armenia e Azerbaijan, il Nagorno Karabakh.
Il conflitto non ha lasciato indifferente il mondo del calcio, e il primo a prendere posizione è stato Henrikh Mkhitaryan. Il centrocampista armeno ha mosso forti accuse sui social all’Azerbaijan, accusandolo di bombardare deliberatamente scuole, asili e ospedali.
In una lettera aperta indirizzata a Donald Trump, Vladimir Putin ed Emmanuel Macron, il giocatore della Roma ha chiesto loro di “Fermare l’aggressore” e di “Agire contro il terrorismo internazionale”.
“L’Armenia dove sono nato e l’Artsahkh (nome armeno del Nagorno-Karabakh, ndr) – scrive Mkhitaryan – continuano a difendere il proprio diritto di essere una nazione indipendente, di esistere su territori storicamente occupati e di preservare il proprio patrimonio di valori cristiani conosciuto in tutto il mondo.
A causa della questione del Nagorno Karabakh Mkhitaryan non aveva potuto disputare la finale di Europa League contro il Chelsea del 2019, tenutasi a Baku, capitale dell’Azerbaijan. In quanto armeno infatti non era persona gradita sul suolo azero.
Non si è fatta attendere la risposta di Mesut Özil, suo ex compagno di squadra all’Arsenal e ora dall’altra parte della barricata. Il trequartista tedesco ha sempre rivendicato le proprie origini turche, ed è un sostenitore del presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan, principale alleato dell’Azerbaijan.
Özil con un post su Twitter cita il fondatore della Turchia moderna Kemal Atatürk e prende le parti degli azeri: “Le pene dell’Azerbaigian sono le nostre pene, la sua gioia è la nostra gioia. Una nazione, due Stati. Per me è importante che tutti nel mondo sappiano che la regione è legalmente riconosciuta come parte dell’Azerbaigian ed è illegalmente occupata”.
Due posizioni nette e radicalmente contrapposte, in una guerra che non accenna a fermarsi. E che ora imperversa anche nel mondo del pallone.