“Vi sono perdite che comunicano all’anima una sublimità, nella quale essa si astiene dal lamento e cammina in silenzio come sotto alti neri cipressi.” Parlava cosi il filosofo Nietzsche. Parlava della morte, del dolore dell’anima. Di un’anima che, dinanzi a certe scomparse, non trova la forza di spiegarle. Può raccontarle ad altre anime ferite ma, al tempo stesso, le deve accettare con malinconica rassegnazione. I cipressi, sotto cui cammina in silenzio l’anima devastata dal dolore. Come si spiega Diego Armando Maradona? Il dolore assume contorni così strazianti e funesti che, le parole, sembrano sempre inadeguate. Allora non si può che guardare dentro di sé, l’unico posto in cui ancora vi è la luce di quei ricordi così accesi di Maradona. Di quel genio, di quella grandezza. Quell’eternità. Non sono certamente bastate 48 ore, per alleviare lo strazio. Quante ne serviranno? Se mai ne basteranno. Il mondo ha dato un ultimo saluto a Maradona, dall’Argentina a Napoli. Da casa sua a casa di tutti noi. Perché Diego era in tutti noi. L’ultimo giorno di Diego tra i mortali, tra i simili con cui egli credeva di essere mortale come loro, perché tanto era l’amore che da loro ha ricevuto e, soprattutto, che a loro ha saputo donare. Ma Diego è immortale.
Il cuore dell’Argentina, ferito nel profondo, ha voluto rendere omaggio all’ultimo giorno sulla terra di Maradona. Una folla gremita, immagini da perdere il respiro. Disordini, rabbia e commozione. Non c’è divisione, non ci sono tifoserie. Ci sono uomini in ginocchio, in ossequio. Ci sono anime di tutte le età, di tutte le categorie, per creare un solo grande omaggio al più grande di sempre. Il feretro, ha viaggiato per un’ora prima di giungere al cimitero. Prima che Diego, fosse posto al fianco dei suoi genitori. Bandiere, fiori, lacrime. Non manca nulla, o meglio, manca oltre ogni immaginazione Maradona. Alle 19 locali, il feretro è entrato nel cimitero. Tutti sanno che accadrà ma nessuno lo accetta. Si perde la logica e la ragione, si culmina con dei piccoli disordini. Perché la lucidità vola lassù insieme al Pibe. Era presente la famiglia di Maradona. C’erano le figlie Dalma, Gianina e Jana, l’ex moglie, Claudia Villafañe, e la sua ex compagna Verónica Ojeda. Al suo capezzale vi era anche il nipote Johnny, colui che ha vissuto gli ultimi istanti di vita di Maradona.
Non poteva non omaggiarlo, in un certo modo, la città adottiva di Maradona. La sua Napoli. Quella Napoli che, El Pibe, ha incarnato nei decenni creando un’armonia iconica. Oltre il calcio. Oltre lo sport. Emblema di un riscatto sociale, di una sublimazione estrema nei confronti dell’orgoglio e dell’anima di un popolo. Nel cuore di una città che lo ha amato come un re. Prima del match di Europa League, contro il Rijeka, i tifosi napoletani e non solo, hanno dato vita ad un serpentone di fumogeni, luci e colori. Gli stessi colori che Maradona ha portato nella mente e nei cuori del popolo di Napoli. Una meravigliosa celebrazione, attorno allo stadio San Paolo, quello stadio che presto porterà il suo nome. Il corteo, successivamente, si è spostato in piazza del Plebiscito. Migliaia, le persone che hanno illuminato il centro di Napoli, per salutare Diego Armando Maradona. Una delle immagini più significative, di cosa Maradona rappresentasse per Napoli. Di cosa lo sport possa essere per gli uomini. Di come tutto il mondo, si sente più solo, dopo l’ultimo saluto a Maradona.
Non sono mancati, come sempre, gli sciacalli. I timori, degli ultimi giorni, da parte della famiglia di Maradona erano fondati. le figlie, infatti, temevano che potessero essere fatte fotografie della salma del padre, in occasione dell’autopsia. Purtroppo, ciò è accaduto ma, di certo, non le vedrete. In realtà, nessuno ha sentito la necessità di vederle. Perché, ancora una volta, ha vinto la grandezza di Diego, nonché l’immenso rispetto per il più grande di sempre. Più dello sciacallaggio, più dell’inettitudine morale. Ha sempre vinto Maradona e, ora, non resta che dargli un ultimo saluto, dall’Argentina, da Napoli, da tutto il mondo.