Il festino in casa McKennie? Una gogna eccessiva
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Di inchiostro, per fortuna, non ne sprecheremo. Se non altro perché esistiamo solo sul web. Dove le notizie vivono, spesso e volentieri, un giorno solo, come le rose, toccando però, a volte, livelli di engagement spettacolari. Oggi, la notizia che ha fatto balzare sulla sedia tifosi, opinionisti, moralisti e aggiungete voi qualche altro -ista, è il festino organizzato da Weston McKennie. Il centrocampista americano della Juventus, comprensibilmente annoiato, come del resto tutti i suoi coetanei italiani, ieri sera ha invitato nella sua casa in collina fuori Torino un po’ di amici a cena. Primo errore da matita blu: il Piemonte è in zona rossa, e le visite a parenti ed amici sono vietate.
Come se non bastasse, qualcuno (in realtà non si sa neanche quanti fossero gli invitati) si è fermato ben oltre l’orario del coprifuoco, che scatta, come in tutta Italia alle 22. Così, quando, alle 23.30, i Carabinieri hanno suonato alla porta di McKennie, si sono visti “comminare” (perdonate il burocratese) multe da 400 euro per non aver rispettato le norme anti-Covid. Ma non finisce qui. Anzi, in realtà questo è il prologo, perché la parte più succosa arriva, come sempre in questi casi, dai social. Dove i tifosi si sono scatenati in giudizi e invettive contro l’americano, Arthur e Dybala, anche loro invitati alla festa.
Il comportamento, in una situazione come quella che stiamo vivendo tutti quanti, è a dir poco irresponsabile. Non c’è molto altro da dire e poco da aggiungere. Principalmente, è una questione di rispetto, per la società – assente ingiustificata – e per il resto del mondo, che invece si attiene alle regole, per quanto ferree. Punto. Anzi, no. Perché la società dovrà fare le sue valutazioni e decidere il da farsi. Anche scegliendo di tenere fuori tutti e tre i festaioli dalle convocazioni per il derby contro il Torino.
Sarebbe una punizione esemplare. Peccato che la Juventus, con Bonucci positivo al Covid-19 e i Nazionali tornati dai loro impegni in giro per il mondo, non sia propriamente nelle condizioni di poter rinunciare a tanto talento. Specie in mezzo al campo. Chissà se a prevalere sarà la questione morale o le esigenze di campo. Di certo, ci perde la Juventus. Che in questa stagione sembra non avere quasi nulla sotto controllo, né in campo né fuori. Dove, a leggere la timeline di Twitter, sembra che il povero McKennie abbia organizzato un party con 180 persone.
Invece, a quanto pare, gli invitati erano una decina o poco più. I compagni di squadra e le loro compagne. In sostanza: i colleghi con cui lavora ogni giorno spalla a spalla, e le famiglie di quegli stessi colleghi. Con cui dopo gli allenamenti, immaginiamo, mangiano e, presumibilmente, dormono. Senza mascherina. Se volessimo vederla in maniera razionale, scevra da qualsiasi moralismo o pregiudizio, è stata sicuramente una leggerezza, ma nulla di più. Il principio per spezzare la catena del contagio, infatti, è quello di limitare al minimo i rapporti interpersonali. Cosa che, in fin dei conti, McKennie, Arthur e Dybala avrebbero fatto.
Infrangendo le norme? Sì. Sbagliando? Sì. Mettendo a repentaglio la salute propria e degli altri invitati? Sì. O meglio, forse. Non più che se fossero andati al supermercato, o a fare una passeggiata in centro. Basta questo per l’ennesima gogna mediatica? A qualcuno, forse alla stragrande maggioranza di noi, sì. Sarà il segno dei tempi, la stanchezza di una quotidianità sempre uguale, la noia pregressa, ma vedere una cena tra colleghi – per quanto vietata dalle norme – come uno schiaffo in faccia alla miseria, è del tutto fuori contesto. Altre sono le ingiustizie e le iniquità, altri gli scandali che dovrebbero farci saltare sulla sedia, ben più di una cena tra amici.