Che i conti non tornino in Serie A è oramai lapalissiano. Sarebbe sorprendente il contrario per un settore che, come moltissimi altri, ha patito fortemente un anno a dir poco funesto.
Ulteriori numeri emergono dall’analisi uscita nel numero odierno del Corriere della Sera. Il primo dato, ovvio, è la mancanza di introiti dei tifosi allo stadio. Erano stati 9,6 milioni nell’ultima stagione senza virus, calando poi a 6,8 nella scorsa. Quest’anno appena 42 mila spettatori sono riusciti ad assistere ad una partita di Serie A, senza però fornire incasso ai club.
Mancate entrate che, se unite ad aiuti giunti col contagocce da parte del Governo, formano una tempesta economica che va ad abbattersi sulle società. E se in qualche caso le fondamenta non sono poi così solide (il calcio in Italia è un business che veicola tanti soldi ma difficilmente chiude il bilancio col segno “più”), allora il tetto viene scoperchiato e la casa rischia di sparire.
La retorica diventa realtà nel momento in cui proprio di un tetto fa richiesta il presidente della Federcalcio Gravina. Nel corso di una prolungata sequenza epistolare ai maggiori organi competenti nazionali ed europei, ha infatti avanzato la richiesta dell’introduzione di un salary cap collettivo. Misura questa auspicata in passato anche dal presidente della Lega Serie A Paolo Dal Pino. “Sarebbe controproducente ridurre gli stipendi solo in Italia e nel resto d’Europa no. Si depauperebbe il patrimonio”.
L’obiettivo chiaramente rimane quello di non far perdere appeal e potere d’immagine al campionato. Ma ci son conti da far quadrare, e in fretta. Il CorSera ripete come entro il 1 dicembre debbano venire sborsati 300 milioni di euro in stipendi. In Serie A in tutto ammontano a 1,3 miliardi solo per i calciatori, con un ingaggio medio netto di circa 1,25 milioni a giocatore.
Anche nel resto d’Europa si inizia a muovere qualcosa. La Liga ha diramato in queste ore i dati con i tetti salariali di tutte le società dei primi due campionati spagnoli.
Un giro d’affari da oltre 2 miliardi solo per quanto riguarda la Liga Santander, comunque fortemente colpito dall’annus horribilis. Basti pensare che per il solo Barcellona il limite è stato quasi dimezzato, con un disvalore di oltre 300 milioni di euro dalla scorsa stagione.
La Serie A deve trovare soluzioni in fretta per porre rimedio ad un’emorragia che rischia d’essere grave se non fatale. Si è arrivati presto ai giocatori, punti estremi (in più sensi) del complesso meccanismo calcistico. A loro è stato chiesto di ridursi gli stipendi. Richiesta recepita e parzialmente accolta, ma con commenti come quello di Bonucci, che fanno capire come non possa che essere solo la punta dell’iceberg. “Non basta questo. Alla Juve ci siamo ridotti gli ingaggi ma il calcio non si salva solo chiedendo ai giocatori di ridursi lo stipendio”.
Servono idee e collaborazione. Fra i vari organi, e anche e soprattutto da parte del Governo. Che negli ultimi 11 anni ha ricevuto ingressi da un miliardo all’anno dal calcio professionistico, a fronte di contributi economici da 749 milioni nello stesso lasso.
Un business tanto remunerativo (per ogni euro investito lo Stato ha ottenuto un ritorno fiscale e previdenziale di quindici) quanto instabile, e bisognoso dunque di un sostegno che vada oltre alle parole ma che possa misurarsi in gesti e numeri. Quelli che, in rosso, stanno mettendo in ginocchio il calcio italiano.