ESCLUSIVO – Stendardo: “Il Salary Cap per rivoluzionare il calcio”

Guglielmo Stendardo, ex giocatore di Lazio, Atalanta e Juventus, è oggi un avvocato di successo, con uno studio legale che opera sia a Roma, sia a Milano. Oltre a una carriera da protagonista sui campi della massima serie del nostro calcio, Stendardo è un punto di riferimento per chi sogna di diventare un atleta professionista, ma al contempo non vuole rinunciare agli studi. E noi di Calcio in Pillole abbiamo voluto parlare con lui dei possibili sviluppi del nostro sistema-calcio, che nelle ultime settimane ha cominciato a parlare della possibilità di introdurre il Salary Cap, come nell’NBA.

Rinunciasti alla partita di Coppa Italia contro la Roma per sostenere l’esame da avvocato. Una scelta non usuale per un calciatore.

“Io penso che sia stata una scelta giusta. Quello è stato l’esame che mi ha permesso di abilitarmi alla professione forense. Il calcio è stato una parentesi importante della mia vita. Credo che però ogni calciatore debba considerare la propria esperienza in questo modo: un contratto di lavoro a tempo determinato. La cultura e la conoscenza, invece, sono elementi spodestabili e inalienabili che restano per tutta la vita”.

E da lì ha avuto inizio la tua carriera come avvocato e come professore.
“Sì, attualmente sono avvocato, ho uno studio legale su Roma e Milano. Mi occupo in particolare modo della gestione del rapporto di lavoro tra l’atleta e la società. Ma il mio studio si occupa anche di diritto civile, penale e tributario. Ho anche la parte fiscale, con un commercialista. Quindi si può dire che mi occupo a tutto tondo di quello che può riguardare la tutela dei diritti, non solo degli atleti, ma delle persone in generale. Poi ho con la LUISS Guido Carli un rapporto ormai da due anni e mi occupo di Diritto dello Sport, che è poi la materia che seguo da tempo. Lo sport è sempre stata la mia vita, quindi credo sia uno strumento di assoluta importanza il conoscere e l’apprendere le regole, i diritti e i doveri”.

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“La cultura e la conoscenza sono elementi inalienabili che restano per tutta la vita”

Pensi che oggi ci sia un vuoto conoscitivo nel mondo dello sport riguardo a quelli che sono i diritti degli atleti?

“Se andiamo a guardare i numeri, vediamo che nel calcio sono pochi i laureati, ma anche i diplomati. Tempo fa ho avuto modo di prendere visione di una statistica: solo l’1% dei giocatori è laureato. Poi, ovviamente, anche per il mio ruolo, non posso non sottolineare quanto sia fondamentale tutelare i diritti della categoria”.

Ma proprio per questo, non sarebbe importante introdurre in Italia un modello diverso, magari seguendo quello americano, dove viene permesso agli atleti di seguire corsi di studio avanzati? Non sarebbe auspicabile anche nel nostro paese quel connubio tra sport e università che si vede negli Stati Uniti?

“Assolutamente sì. Io credo che il progetto di dual career sia di fondamentale importanza. E sotto questo punto di vista in America sono sicuramente molto avanti, perché si investe sullo studio e sulla conoscenza, mentre si permette all’atleta di fare sport. Penso che in Italia questo debba essere amplificato e mi auguro che ci sia una rivoluzione culturale. Bisogna capire che lo sport è importante, ma non può essere l’unico strumento della propria vita, come succede in molti casi per i giovani calciatori. Bisogna guardare al futuro, pensando che a 35 o 40 anni, quando smetti di giocare al calcio, non solo sei ancora molto giovane, ma hai tutta una vita davanti. Hai ancora tanto da fare, e penso che alla fine una persona debba guardarsi alle spalle e essere orgoglioso di tutto il proprio percorso di vita, non solamente degli anni in cui si è vestita una maglia importante o si è giocato in Champions. Credo che l’obiettivo di ogni uomo debba essere quello di migliorarsi costantemente, di aggiornarsi, di apprendere. Ed è un lavoro che va fatto giorno dopo giorno”.

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“Una persona deve guardarsi alle spalle e essere orgoglioso di tutto il proprio percorso di vita”

“Per rimanere invece al discorso legato al cambiamento e al confronto con il modello statunitense, penso che sia importante anche l’introduzione di un Salary Cap, come nell’NBA. Non solo, quindi, una rivoluzione culturale, ma anche un ridimensionamento economico. Perché al giorno d’oggi tanti club attraversano una fase in cui l’equilibrio economico sta saltando, o è già saltato. Molti club fanno affidamento sui diritti televisivi, ma non è sufficiente. Se l’equilibrio salta, salta tutto il sistema, perché viene a crearsi una bolla. Quindi mi auguro che avvenga un ridimensionamento economico. Perché in un momento come questo, con una pandemia e una forte contrazione economica, sento ancora parlare di ingaggi da 7, 8, 10 milioni di euro, mentre c’è gente che ha enormi difficoltà ad arrivare alla fine del mese. Credo sia eticamente poco corretto, in questa fase, parlare di certe cifre, mentre è eticamente giusto porre un freno e mettere un Salary Cap. Non solo in Italia, ovviamente, per non rischiare di perdere competitività, ma a livello europeo”.

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“Penso che sia importante anche l’introduzione di un Salary Cap, come nell’NBA”

“Inoltre, se c’è un Fair Play Finanziario, è bene che esso venga fatto rispettare a tutti, senza distinzioni, soprattutto alle società che hanno più possibilità. Sarebbe importante giungere a un modello economico che preveda una maggiore ridistribuzione delle risorse nel sistema-calcio. Perché mentre in Serie A si parla di milioni di euro, in Lega Pro alcuni calciatori attendono la cassa integrazione. I vertici federali e le istituzioni hanno un grande lavoro da fare, ma il loro focus e la loro attenzione deve rivolgersi sopratutto ai più deboli. Con senso di responsabilità, utilizzare un momento di difficoltà per cambiare le regole e migliorare il nostro sistema”.