Editoriali

Germania e Ungheria, i diritti scendono in campo

Archiviati i 90 minuti, bellissimi, che hanno regalato uno dei match più tirati ed equilibrati dei gironi di Euro 2020, è tempo di bilanci, anche fuori dal campo. Germania e Ungheria, in questi giorni, hanno catalizzato l’attenzione della Uefa, dei media, della politica e dei tifosi, innescando un gigantesco confronto pubblico. Che, come sempre, sui social ha vissuto i suoi momenti più alti e più bassi. Intrecciandosi, in Italia, con il dibattito parlamentare sul Dl Zan, su cui anche il Vaticano (e non potrebbe essere altrimenti) ha detto la sua. Il quesito è sempre lo stesso: può la politica entrare negli stadi? Peccato solo che sia un quesito mal posto.

Giugno, in tutto il mondo, è il mese dell’orgoglio Lgbtq+ e della lotta ai diritti di una comunità che, in molti Paese, ancora non ne ha. Compresa l’Ungheria, che qualche giorno fa ha varato una delle leggi più liberticide in  materia, vietando la “propaganda gay tra i minori di 18 anni”. Una legge, quella voluta e sostenuta con forza dal Governo Orbàn, condannata da buona parte dei Paesi dell’Unione Europea, compresa l’Italia. Quando si parla di diritti civili, evidentemente, c’è sempre un valore politico, ma non necessariamente partitico. Schierarsi al fianco dei diritti, dell’inclusione, della lotta per l’uguaglianza e dell’accettazione, non è, o non dovrebbe, essere una battaglia di alcuni, ma di tutti.

Vederla, o viverla, come una battaglia divisiva, più che un errore, è un peccato. Su certi temi, come dimostrano i partiti liberali di tutta Europa, non esistono, o non dovrebbero esistere destra e sinistra. E invece, almeno in Italia, non si riesce ad uscire da questa logica, e la scelta di Milan e Juventus, i due club (insieme all’Inter) di gran lunga più importanti della Serie A, lo dimostra. Colorare il proprio logo con i colori dell’arcobaleno, il più semplice e persino banale dei gesti, ha scatenato le proteste di centinaia di tifosi. Che, per l’appunto, hanno visto nella scelta dei club che tifano una valenza politica.

Di certo, a generare ancora più confusione, al di là delle vicende di casa nostra, ci ha pensato la UEFA, che non ha permesso al Comune di Monaco di illuminare con i colori dell’arcobaleno l’Allianz Arena per la sfida della Germania all’Ungheria. Una scelta presa in nome della neutralità politica, ma che alla fine è sembrata ancora più politica. Salvo poi, poche ore dopo, colorare anche lei il proprio logo, diventato, da ieri mattina, rainbow. Così come tutta Monaco, fuori e dentro lo stadio, un festival di colori e gioia che ben rappresenta il senso delle lotte che da decenni porta avanti la comunità Lgbtq+.

Il calcio, come sempre, non può far finta di vivere in un universo parallelo, a volte è chiamato a delle scelte, come nel caso delle lotte del movimento “Black Lives Matter”. E non ci aspettiamo certo che sia sempre dalla nostra parte, ma quantomeno che si ponga delle domande. In questo caso, però, è davvero difficile capire per quale assurdo motivo ci si dovrebbe schierare contro i diritti di una minoranza ancora oggi vituperata. A partire proprio dall’Ungheria che ieri ha fatto sudare il 2-2 ed il passaggio del turno alla Germania. Punita, a pochi minuti dalla fine, da quel Goretka simbolo del calcio impegnato e antifascista, che ha celebrato con un cuore, come fanno in tanti, ma dedicato a tutti. Letteralmente a tutti. Anche a quei tanti ungheresi che il Governo Orbàn non l’hanno votato, non l’hanno voluto e devono comunque subirlo.

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Published by
Piermichele Capulli