Gasperini e Inzaghi, così diversi e così “vicini”

Gasperini e Inzaghi, così diversi e così “vicini”

(Photo by Marco Rosi - SS Lazio/Getty Images)

Lazio e Atalanta una stagione, che sembra una vita, fa sono state le due protagoniste della Serie A. Senza vincere nulla, è vero, ma ribaltando le gerarchie con la forza delle idee e la bellezza del calcio espresso. Più la Dea, in effetti, capace di arrivare tra le  migliori otto d’Europa, stupendo tutto il Vecchio Continente. Una dimensione che, dopo la vittoria di ieri sera, netta e meritata, per 3-1, sullo Zenit, proveranno a raggiungere anche i biancocelesti. Il passaggio del turno è a portata di mano, e chissà che, con un po’ di fortuna, non riescano a replicare quanto fatto dai bergamaschi appena qualche mese fa.

Stasera, per l’Atalanta, la sfida al Liverpool. Difficile, quasi impossibile, ma provarci è un dovere, tenendo in conto che le chance di qualificazione passano quasi tutte per lo scontro diretto contro l’Ajax. Partita già più abbordabile, anche se i lancieri hanno messo a punto gli automatismi, diventando, almeno in patria, la solita gioiosa macchina da guerra di sempre. Atalanta e Lazio, comunque vada, hanno dimostrato, e ci auguriamo che possano continuare a farlo, di poter stare su certi palcoscenici – tristemente privi di pubblico – senza tremare. Anzi, concedendosi il lusso di prestazioni di spessore e credibilità.

Merito di Gasperini ed Inzaghi, due che pochissimo hanno in comune e che è difficile immaginare a cena insieme, almeno ad oggi. Ma che rappresentano un po’ la pietra filosofale del calcio low budget di oggi. Entrambi sono fedeli alle proprie idee, da cui non prescindono mai o quasi mai. Godono della fiducia della proprietà, ma anche di un rapporto franco con i propri presidenti e con i direttori sportivi. Chiudendo un circolo virtuoso in cui, in tempi normali, l’ultima variabile sono i tifosi, benzina sul fuoco dell’entusiasmo come su quello delle delusioni. Gasperini e Inzaghi, anche in questo sono simili, non pretendono quasi mai, ma sono stati capaci di tenersi stretti i campioni che hanno costruito. E, soprattutto, fanno giocare bene le squadre che allenano. Sfatando, in questo, più di un mito.

Per anni ci siamo raccontati che senza soldi non si può essere competitivi. Ma è solo una parte della verità. Certo, il calcio lo giocano i calciatori, e poter disporre dei migliori, va da sé, aumenta di molto le possibilità di vittoria. Ma ci vogliono anche le idee e chi le sappia mettere in pratica. E Lazio e Atalanta non sono certo le uniche, in Champions League, a far valere le proprie idee. L’Ajax di due anni fa, bacino immenso di talenti, orange e d’importazione, ne è un altro esempio. Ad un livello diverso, il Borussia Dortmund è una fucina di idee capace di rinnovarsi ciclicamente.

Certo, non bastano le idee, ma aiutano. E la dimostrazione, paradossalmente, arriva proprio da chi ha mezzi eccezionali e raccoglie risultati, sin qui, deludenti. La Juventus, padrona della Serie A per anni, lasciati Allegri e Marotta, è ancora alla ricerca di un nuovo equilibrio. Che la renda vincente, bella da vedere, e capace di valorizzare il talento ed i talenti. L’Inter, che stasera è chiamata anche lei all’impresa, contro il Real Madrid più brutto e fragile perlomeno degli ultimi quindici anni, rischia il secondo flop europeo consecutivo. E checché ne dica Conte, la rosa è forte, sulla carta fortissima, di certo più di Shakhtar Donetsk e Borussia Mönchengladbach, che pure la precedono nel girone.

Soldi e idee, dove non arrivano gli uni, arrivano le altre. Se mancano entrambi, è la fine. Se ci sono entrambi, nascono progetti come quelli di Liverpool e Bayern Monaco, pensati alla scrivania e poi messi in campo. Con un certo successo, almeno sin qui.