Florenzi, l’elisir del Diavolo: l’ambiente non può essere un alibi
Alessandro Florenzi e il Milan, un viaggio che continua per uno che finisce. L’ex giallorosso saluta la Roma in maniera definitiva e ufficiale. Il calciatore definisce l’avventura nella Capitale “un viaggio splendido”, ma la piazza è di diverso avviso. Chi frequenta l’ambiente romano dal 2020 si chiede cosa davvero sia successo, qualcuno prova a darsi qualche risposta, ma in tutto questo la sola certezza è che del numero 48 che ha trovato pianta stabile nella Roma dei grandi grazie a Zeman – diventato poi 24 con il tempo – non c’è più traccia.
Niente è rimasto del ragazzo che avrebbe dato tutto per due colori (giallo e rosso), che diceva quanto si dovesse correre più degli altri perchè giocare con la maglia della propria squadra del cuore non ha prezzo. Poi qualcosa si è rotto: prima la risata, immortalata dalle telecamere, durante un Derby perso, poi tanti silenzi – forse troppi – su aspetti che sarebbe stato meglio (non obbligatoriamente ma avrebbe aiutato) chiarire pubblicamente. Florenzi, invece, ha scelto la strada dell’oblio. Tuttavia, chi tace acconsente: dando agio a tutte quelle voci che avrebbero preferito chiarezza e invece si sono ritrovate a fare i conti con la frammentazione e lo sgomento.
Florenzi, lasciarsi un giorno a Roma: le conseguenze di un addio
Spesso si dice – erroneamente – che i tifosi possono essere un problema perchè mettono pressione ai calciatori: quest’equazione è stata, il più delle volte, accostata a Florenzi quando era nella Capitale. “Non riesce ad esprimersi perchè schiacciato dal peso delle critiche”. Essere un calciatore, però, vuol dire anche questo. A maggior ragione se, per un periodo, hai anche la fascia da capitano al braccio: le critiche – costruttive, non gli insulti gratuiti – sono il pane quotidiano dei professionisti.
La piazza giallorossa, a modo proprio e non sempre con la giusta predisposizione, ha chiesto soltanto chiarezza a un campione che dal 2020 in poi è rimasto nell’ambiguità. Quando Fonseca – a detta del calciatore – non lo faceva giocare ed è stato mandato prima a Valencia e poi a Parigi, Florenzi non ha speso neanche una parola per salutare la piazza. Cosa che molti suoi colleghi – vedasi Nainggolan che viene mandato all’Inter per una lite furibonda con l’ex DS Monchi – hanno fatto. Una cosa è la società (l’azienda, per usare un termine caro ai Pallotta), un’altra è un popolo che per parecchio tempo ha gridato il tuo nome, come fossi una star, che da un giorno all’altro si ritrova senza riferimenti.
Il peso delle parole
Anche quelle parole, di sfuggita, all’aeroporto di Malpensa, qualche estate fa: “Con i tifosi della Roma ci siamo già detti tutto”, stridono nella reputazione di un ragazzo che aveva dato l’impressione di essere attaccato a una filosofia di vita prima ancora che una semplice squadra di calcio. È tutta questione di comunicazione: se ti poni in maniera duplice, la risposta – dal tifo – non sarà mai unanime.
Florenzi se n’è accorto, infatti al Milan ha dimostrato – prima alla piazza e poi al mister – di tenerci di più. Le frasi in allenamento per spronare i compagni, il “Qui e ora” come fosse un tifoso aggiunto, il video (durante i festeggiamenti per lo Scudetto in rossonero) in cui chiede a gran voce “Riscattami, Paolo (Maldini n.d.r.)”. Tutti segnali che indicano come, ormai, il fuoriclasse abbia preso un’altra strada e voglia imboccarla completamente.
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Bisogna capirlo: i calciatori fanno delle scelte, così come i campioni devono comprendere che ad ogni azione corrisponde una reazione. Basta con l’alibi dell’ambiente, perché la pressione è figlia solamente di eventuali incomprensioni. Se un professionista – in qualsiasi ambito – mostra sempre e soltanto un’unica faccia, accompagnata dalla perenne professionalità, questi problemi non li avrà mai. Lo spauracchio dei tifosi è un falso mito, Florenzi e tanti altri non fanno altro che confermarlo.