La Brexit, votata nel giugno del 2016 ed entrata in vigore solo il 1° gennaio di quest’anno, ha allontanato ancora di più la Scozia dal Regno Unito. Già nel 2014, le spinte separatiste dei nazionalisti scozzesi portarono ad un referendum per tornare indipendenti. Una condizione che, dalle parti di Edimburgo, non esiste più dal 1707, quando il Parlamento scozzese e quello inglese votarono per la fusione di Inghilterra e Scozia, da cui nacque appunto il Regno Unito. Da allora, seguì un secolo e mezzo di crescita economica ed industriale, che finì però per acuire le differenze sociali e le distanze. Ad un ceto di nobili proprietari terrieri, vicini a Londra, facevano da contraltare masse contadine sostanzialmente povere. Una condizione cui solo il Crofters Act del 1886 mise fine.
Lo sforzo bellico nel corso della Prima Guerra Mondiale, se da un lato portò 700.000 soldati al fronte, dall’altro dette enorme impulso all’industria navale. Il boom economico, però, durò poco, e a cavallo tra gli anni Venti e Trenta la profonda crisi economica in cui piombò la Scozia ridestò le spinte indipendentiste. In quel periodo, nel 1934, nasce lo Scottish National Party, che nel 1945 entra per la prima volte nel Parlamento Britannico. Nel frattempo, dopo la Seconda Guerra Mondiale il Paese vive l’ennesima crisi del proprio tessuto industriale, che diventa piano piano irreversibile. Solo la scoperta del petrolio nel Mare del Nord, negli anni Settanta, tiene a galla l’economia scozzese. Arriviamo quindi al 1997, quando il Governo laburista di Tony Blair guida la Scozia verso un’autonomia mai goduta negli ultimi tre secoli: dopo la conferma alla riforma sancita dal referendum popolare dell’11 settembre, nasce il parlamento autonomo scozzese.
Arriviamo quindi al 2014, quando il referendum per l’indipendenza dal Regno Unito si schianta sul 55,3% degli elettori contrari. Adesso, però, il quadro è cambiato di nuovo, perché l’uscita dall’Unione Europea, dalla Scozia, è stata vissuta malissimo. Sia da un punto di vista economico che politico, vista la forza crescente dello Scottish National Party e la lunga tradizione labourista del Paese. Se si votasse lo stesso referendum di sette anni fa oggi, difficilmente gli unionisti avrebbero la meglio. Sotto la cenere delle pulsioni repubblicane, intanto, cresce un sentimento sempre più smaccatamente anti-inglese. Che spinge un popolo intero, o almeno una buona parte, a tifare apertamente contro la Nazionale dei Tre Leoni nella finale di Euro 2020 di domani sera a Wembley.
All’Italia non serve certo un’ulteriore motivazione, ma la sensazione, anche al di fuori del Regno Unito, è che la Nazionale Azzurra avrà più di un tifoso. La Brexit da una parte, il dominio economico a tratti straripante della Premier dall’altra, con la vicinanza sempre più evidente tra Londra e la Uefa, sono elementi che hanno generato una certa antipatia nei confronti della Nazionale di Southgate. Anche in Scozia, nonostante l’ipotesi, emersa un paio di mesi fa, di aprire la Premier League a Celtic e Glasgow. Un modo per creare una lega unitaria di tutto il Regno Unito, vista la presenza, negli ultimi anni, delle gallesi Swansea e Cardiff, ma che difficilmente si realizzerà.