Il Napoli ha esordito in Champions contro il modesto Braga centrando il successo ma non evitando le critiche. Al tecnico francese, alla sua filosofia, ma pure all’intoccabile Kvaratskhelia, gioiellino frustrato dal cambio della guardia. I bagordi da tricolore sembrano un lontanissimo ricordo. Le aspettative sono alte, non potrebbe essere altrimenti, e la pressione lo è altrettanto: la reazione di Garcia al gol di Di Lorenzo con tanto di sospiro di sollievo la dice lunga, ma i problemi sembrano di altra natura…
Lo stato di degenza è ormai cosa nota, ma la diagnosi sembra un interrogativo davvero irrisolvibile. Il ginepraio di inquietudine in cui è caduto l’ambiente azzurro fa il paio con la rabbia di chi, dopo appena due mesi di lavoro, vuole la testa dell’allenatore. Il Napoli in Portogallo ha creato tanto, sprecando anche l’inverosimile, ma nella testa dei tifosi campani è rimasto più che altro il finale in quel di Braga. Una sofferenza immane davanti ad una cenerentola del girone.
Il finale di partita con ben cinque difensori in campo è apparsa ai più blasfemia, se consideriamo che fino a qualche settimane fa il diktat del predecessore di Rudi Garcia era ben differente: palleggio offensivo e attacco. Altro che difesa in area. Cosa che per altro non ha impedito a Pizzi di centrare il palo a pochi secondi dal gong. Insomma la filosofia dell’ex tecnico di Roma e Lille fa storcere il naso a molti: ormai si va solo di difesa e contropiede, concetti che non valorizzano al meglio la qualità della rosa. Giocatori snaturati, fuori condizione, Osimhen che soffre il mal di gol, Kvara non incide come vorrebbe (e dovrebbe, per il talento che Madre Natura gli ha donato).
Le strategie estive del Napoli si erano basate su un teorema di Aurelio De Laurentiis, sintetizzato pure come un esorcismo in una frase. “Abbiamo una squadra forte”. Il patron lo aveva detto più volte per rassicurare sé stesso e anche i tifosi, un po’ disorientati per la fuga dallo scudetto di Luciano Spalletti e Cristiano Giuntoli. La squadra forte, almeno sulla carta, è quella. La stessa – eccezion fatta per Kim – si può dire.
Il cambio di guardia, in termini pratici, poteva dare un canovaccio diverso, con una squadra meno palleggiante, più verticale e magari più cinica. Al momento, mera illusione. Questo gruppo ha un difetto di forma, e Rudi sembra aver sepolto i vecchi codici spallettiani un po’ troppo in fretta. Il problema del Napoli di Garcia, se vogliamo, è proprio questo: i calciatori azzurri, anche quelli più forti, non riescono a essere decisivi in modo autosufficiente. Lo spettro del passato sarà un compagno d’avventura fastidioso, fino a quando regnerà imprecisione e confusione. E clamorosi errori tecnici, di valutazione. E se il Napoli si fa dettare il proprio progetto tattico dalla paura, tra l’altro contro il Braga visto ieri nel particolarissimo Estádio Municipal, vuol dire che c’è qualcosa che non va.
A quanto pare buona parte dei problemi azzurri sono appunto figli della paura: la squadra di Jorge è nettamente inferiore al gruppo azzurro, ma ha saputo gestire con una razionalità esemplare il momento di evidente smarrimento dei partenopei, proprio come hanno fatto in rapida sequenza Lazio e Genoa. C’è il Napoli, che sul campo è più forte di tutte le avversarie fino ad ora sfidate, ma non sa di esserlo. E anche nella ripresa, quando il panico lo attanaglia e il possesso palla passa dal 52 al 43 per cento, sfiora il gol senza mai crederci davvero. E finisce per consegnare il palleggio agli avversari che per un niente (e un palo) non segnano il 2-2.
Squadra vuota. Squadra stanca. Squadra spenta. Ma non solo nella testa: pure nelle gambe. Altro che reazione alla non-partita con il Genoa. Alle sconfitta amara contro la Lazio dell’ex Sarri. Alle critiche. Niente. Si sveglierà, il Napoli? Troverà la forza e l’orgoglio per reagire alla tristezza del suo calcio?
Sicuramente non è presto, è prestissimo per emettere giudizi, siamo solo nella fase embrionale della stagione, ma è sicuramente giunto il momento di reagire. E andare oltre Spalletti. Di ricompattare l’ambiente. E il compito (arduo, indubbiamente) spetta solo ed esclusivamente a Rudi Garcia. Non ci sarebbe nessun problema se avesse cambiato idea, se la sua idea di calcio fosse più opportunistica, più speculativa rispetto al suo predecessore. Ma una squadra opportunistica e speculativa, cosiddetta cinica nella narrazione giornalistica classica, ha un piano o una superiorità netta su cui poter speculare, su cui costruire il proprio opportunismo illuminato. Difficile rintracciare questo atteggiamento nel Napoli di ieri.