Donnarumma, come “bruciare” un talento: quando le aspettative diventano un nemico
Gianluigi Donnarumma è un vulcano sul punto di eruttare: rabbia, frustrazione e rammarico. Tre componenti, nella vita di chiunque, letali: figuriamoci nella quotidianità di un campione. Talvolta essere nessuno può diventare un vantaggio. Totti – altro campione in un ruolo diverso – l’ha specificato in più d’un occasione: “Vorrei riuscire a fare una passeggiata per Roma come una persona qualsiasi, è diventato impossibile”. Colpa o merito, dipende dai punti di vista, delle aspettative e del talento sempre crescente.
Le qualità possono essere il miglior alleato di un fuoriclasse, ma anche diventare il peggior nemico: la serenità o l’agitazione cambia tutto. L’atteggiamento è la chiave di Volta che può fare la differenza. In un periodo di tranquillità riesce tutto meglio, nel caso contrario anche le cose più semplici diventano un’impresa. Donnarumma ha vissuto due fasi: prima e dopo Wembley. La finale degli Europei ha consegnato alla storia del calcio un predestinato. Portiere in grado di restituire all’Italia determinate certezze che in pochi – negli anni – hanno saputo dare in quel ruolo: vedasi Buffon e Zoff.
Donnarumma, il peso del talento e la trappola della notorietà
Portieri che hanno fatto amicizia con la storia, pagando il prezzo dei momenti no. Sapendosi rialzare quando chiunque li avrebbe dati per spacciati: il campo è l’unico arbitro, ma spesso quello che succede fuori è determinante. Gianluigi, solo un ragazzo con gli atteggiamenti da veterano, quando è passato al PSG ha lasciato dietro di sé la reputazione di baby prodigio diventando adulto.
Un top player da 12 milioni l’anno a cui non viene perdonato più nulla: le stesse sviste, magari, ce le aveva anche prima. Reggeva, però, l’alibi della gioventù. Il denaro, purtroppo, brucia anche quella. Dopo l’Europeo conquistato, pretendere – e ottenere – un maxi stipendio significa essere all’altezza di certi paletti. Il club francese ci ha creduto, acconsentendo a un contratto faraonico, ma subito dopo la firma è scattato un patto implicito: il tempo della rendita è finito. Ora ogni sbaglio costa caro e l’arte dell’attesa è un privilegio che cessa d’esistere di fronte a un assegno a nove zeri.
Prima e dopo Wembley
Donnarumma ha accettato, ma forse non aveva fatto i conti proprio con il peso delle aspettative: una stagione in Francia, fatta di alti e bassi, schiacciata dal peso di una concorrenza perenne con Navas. Meno occasioni per giocare, meno possibilità di farsi valere: se poi quelle occasioni si trasformano in ecatombe, ogni tuo errore costa troppo, allora anche il lusso diventa un incubo. Il soggiorno parigino diventa l’Overlook Hotel di Shining: porte spalancate – anche troppo – che fanno del portiere più ambito un capro espiatorio perfetto.
Ferite che si ripercuotono sull’atteggiamento dell’estremo difensore anche quando gioca con l’Italia: la palla scotta e le parole diventano armi. Per questo basta davvero poco per perdere il controllo. Persino le critiche di un tifoso diventano motivo di astio e la pacatezza si trasforma in ira furibonda. Donnarumma non rende al meglio perchè, dopo aver raggiunto il suo punto massimo di forza, sta sperimentando la discesa. Come in una giocata importante, non conta il modo in cui salti ma la maniera in cui scegli di atterrare.
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Donnarumma può – e deve – sicuramente risalire, ma deve innanzitutto riuscire ad attutire le cadute. Solo allora, quando avrà fatto i conti con l’amarezza delle critiche, potrà godersi la soddisfazione degli applausi che arriveranno nel momento in cui – dentro di sé – ritroverà la consapevolezza e forse la leggerezza di un tempo non troppo lontano. Anche se sembra passata una vita.