Il documentario-schiaffo al maschilismo nelle redazioni francesi. L’imbarazzo di Canal+
Occuparsi di casi spinosi, fenomeni da correggere e scenari di differente trattamento in base a connotati disgiunti dalla mera competenza. Il sale del giornalismo e, se ciò accade nelle redazioni sportive, il calcio diventa ancora una volta un veicolo per occuparsi anche di ciò che non accade nello specifico sul rettangolo verde. Così accade che, una giornalista degna di questo nome come Marie Portolano, ispirandosi ad un documentario contro il razzismo nel calcio, decida di schierarsi contro gli episodi di maschilismo nelle redazioni francesi. “Je ne suis pas une salope”. Per chi ha poca familiarità: “Io non sono una str…a”. Il nome del documentario si ispira al più noto “Io non sono una scimmia” che, come anticipato, puntava il dito contro gli episodi di intolleranza razziale.
Racconti di atteggiamenti stomachevoli
La Portolano si è avvalsa della testimonianze di molte colleghe che, come lei, hanno individuato e vissuto con ragionamenti, modi di agire retrogradi e tipici della differenza di trattamento nei confronti delle donne. Il risultato è efficace quanto amareggiante perché, ancora una volta, mostra la triste realtà che nel 2021 una donna, nell’ambiente professionale, possa essere svilita e umiliata a causa di una visione deplorevole del genere rosa. Nel documentario emergono aneddoti dai contenuti riluttanti. Dal “Ora che sei incinta ingrasserai, con quel viso tondo ti toglieremo dallo schermo” al “Mostra un po’ quel seno”. Il tutto condito da episodi di quotidiana ignoranza: dagli apprezzamenti inopportuni alle parti del corpo alla concezione di una minore competenza di base delle donne rispetto agli uomini, specialmente nell’ambito calcio.
Lascia pietrificati la testimonianza di Nathalie Iannetta, ex consulente allo sport della presidenza Hollande, quando racconta un dialogo con il collega Thierry Gilardi. “Se io (Thierry Gilardi) sbaglio in diretta diranno che ho fatto un errore, può succedere, nulla di sconvolgente. Se lo fai tu, la gente dirà che è come pensavano, ovvero che non sai nulla. È ingiusto ma devi lavorare il doppio”. Follia. Da parte della Portolano, invece, vi è una piena lucidità. A mano ferma sul grilletto, sapendo dove colpire, senza fare vittime innocenti perché lei per prima afferma: “Non voglio generalizzare, so bene che non tutti i colleghi maschi si comportano così. Spero solo che tutti si pongano il problema, vedendo quanto raccontato dalle mie colleghe. Quando vado a lavorare non voglio preoccuparmi del décolleté o di essere ingrassata”.
La pessima figura di Canal+
Forti polemiche sono esplose quando, Canal+, ha ritenuto di mandare in onda il documentario tagliando due emblematiche scene che riguardavano il noto conduttore Pierre Ménès. Scene d’imbarazzo come quella in cui afferma orgoglioso di aver sollevato la gonna a Marie Portolano e di essere pronto a rifarlo. Oppure quella in cui bacia sulla bocca in modo assolutamente non consenziente la collega Isabelle Moreau. L’emittente, a seguito delle forti proteste, ha trasmesso poi le scene tagliate il giorno successivo. Proprio Ménès era presente, innescando una triste sceneggiata vittimista in cui afferma di sentirsi costretto “a non poter più dire o fare nulla”. Eh già, che mondo cattivo. Dopotutto, come affermava Umberto Eco sulle pagine de L’Espresso nel 2013: “Una dose di vittimismo è indispensabile per non galvanizzare gli avversari”. Resta la figuraccia, più di una e la necessità di riflettere, ascoltando e assumendosi le proprie responsabilità. Le correnti neorealiste del “Ma sì, sono quattro scemi” oppure “Ma dai, succede ovunque” non possono più essere la risposta. Donne come Marie Portolano, fortunatamente, esistono ed esisteranno sempre per ricordarlo.