Dividi et impera: l’attacco alla stampa di Commisso
A vederla così, bella da far venire i brividi, difficilmente verrebbe da definire Firenze una “piazza calda“. E invece, lo è. Eccome se lo è. Il tifo viola, magari senza gli eccessi di altre città, sa essere caldo come pochi altri, appassionato, spesso ciecamente innamorato. Ma anche esigente. Al Franchi, dopo Vittorio Cecchi Gori, nessuno è stato più capace di riportare la squadra a lottare per lo scudetto. Uno scudetto che manca dal 1969, e da allora solo nel 1982 la Fiorentina ha davvero avuto la chance di vincerlo. L’arrivo di Rocco Commisso, l’italo americano accolto come un salvatore, ha avuto la capacità di riaccendere l’entusiasmo e l’orgoglio sopito. Arrivato nel calcio dopo una poco edificante parentesi alla guida dei New York Cosmos, ha investito subito una montagna di soldi.
Che, per lui, come ha ribadito più volte ieri in conferenza stampa, non sono un problema. Perché in America ne fa a vagonate, e sulla Fiorentina ha deciso di investirne molti. Senza grossi risultati, a dire la verità. Perché un anno fa la viola chiuse al decimo posto, e in questa stagione ha raggiunto la salvezza solo a due giornate dalla fine. Non un ruolino di marcia esaltante, va riconosciuto. A prescindere dal livello e dalla qualità degli investimenti. Di certo, di scelte criticabili, in sede di mercato, di management, di campo, ce ne sono state. E i giornalisti fiorentini, come quelli di ogni altra città e piazza, le hanno criticate.
Usando toni più o meno caustici e sarcastici, ma facendo, essenzialmente, il loro lavoro, nulla di più. Un lavoro letteralmente umiliato ieri dal buon Rocco Commisso. Che dopo mesi in cui ha comunque rilasciato – e ci mancherebbe altro – interviste a destra e a manca, si è presentato in conferenza stampa per un bilancio di fine stagione. Alla fine, più che un bilancio è diventato uno show, lungo un’ora e mezza. In cui non si è preoccupato molto di analizzare gli aspetti sportivi della sua Fiorentina e di una stagione sciagurata, quanto di mettere in fila – nomi e cognomi in mano – l’intera galassia del giornalismo fiorentino. Divisa tra amici e nemici.
Il risultato, al di là di un teatrino di pessimo gusto, che ha scatenato l’ovvia protesta di Assostampa, è quello di un Presidente che, dopo due anni dal suo arrivo in Italia, ha già capito molto del nostro Paese. Innanzitutto, a spostare l’attenzione dai temi più sensibili. Scegliendo, non a caso, la stampa, istituzione, specie in Italia, in enorme debito di credibilità, nel calcio ma non solo. Magari, ripassando Giulio Cesare, spaccando il fronte: di qua i buoni, i giusti, di là i cattivi, i sobillatori, gli scribacchini al servizio di poteri esterni. Un quadro fosco, in quella che è storicamente una città illuminata, la prima ad abolire, nel 1786, la pena di morte, per volontà di Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena.
Firenze non è posto da liste di prescrizione. Da confronto, polemica, scontro, quello sì, ma non da conferenze stampa come quelle viste ieri. Di certo, in tanti tra i tifosi della Fiorentina si saranno sentiti in sintonia con quanto detto da Rocco Commisso. Le voci su Prandelli, i continui attacchi a Iachini, probabilmente non hanno fatto il bene della squadra né dell’ambiente. Ma in campo ci vanno i giocatori, scelti dagli allenatori, a loro volta decisi dalla dirigenza. Che, silenziato per un attimo Commisso, ha dimostrato in più di un’occasione di avere le idee confuse. E certo non sarà un attacco frontale, scomposto, persino violento – più che esuberante – nei toni, a riportare la Fiorentina dove merita.
Che non vuol dire vederla in corsa per lo scudetto, ma guardarla sentendosi fieri della squadra della propria città, Firenze, che nel mondo non ha nulla da invidiare a nessuna. E questo, forse, Commisso non l’ha ancora ben chiaro, altrimenti avrebbe usato toni e modi più consoni. Non solo ad un presidente di uno storico club della Serie A. Ma alla massima espressione sportiva di una città orgogliosa, disamorata della propria squadra, alla perenne ricerca di un motivo per tornare ad amarla. Dividere una piazza così, partendo dai giornalisti, è una strategia pericolosa, che rischia di fare della Firenze del calcio una polveriera. Sicuro, Rocco, che sia la scelta giusta?