Con il senno di poi, è facile accogliere l’addio di Cristiano Ronaldo alla Juventus e al campionato italiano con un misto di indifferenza e sollievo. In parti uguali, sia che si tifi bianconero, sia che si odi – sportivamente – la squadra degli Agnelli. Vie di mezzo, nel calcio, non ce ne sono, e anche il portoghese, nel tempo, ha polarizzato il parere di tifosi e giornalisti come nessuno. Da una parte chi senza CR7 non andrebbe neanche in bagno da solo, dall’altra chi l’ha bollato presto come un lusso inutile e insostenibile.
Nel giorno del suo addio, rumoroso ma senza che lui abbia proferito parola in queste ultime ore, a noi interessa poco dare un voto a questi tre anni insieme. Alla fine, i conti sono presto fatti: più di 100 gol segnati, ma anche due scudetti su tre vinti e campagne europee decisamente al di sotto delle aspettative. Qualcosa, evidentemente, non ha funzionato, ma più nella Juventus e nella sua gestione, che in campo. Ed è apparso evidente sin dall’inizio.
L’acquisto di CR7, a suo modo epico, è stato osteggiato con forza dall’allora direttore sportivo della Juventus, Beppe Marotta, che lo considerava fuori da ogni logica. Agnelli, in quel frangente, ha deciso di fare di testa sua, regalando un sogno ai tifosi, ed una bella gatta da pelare a Massimiliano Allegri. Che, in quel momento, avrebbe fatto volentieri a meno di un innesto così pesante, economicamente e mediaticamente, per puntare magari su un centrocampista di livello.
Comunque sia, la prima stagione italiana del portoghese scivola via senza scossoni, 21 reti in campionato, 6 in Champions League, scudetto e campagna europea che si interrompe ai quarti di finale. Contro l’Ajax, da cui, in estate, arriva De Ligt. Altri 90 milioni di euro, poco meno di quanto speso per Cristiano Ronaldo, per quello che, da tutti, veniva considerato come il miglior prospetto europeo nel ruolo. Dopo due anni, la definitiva maturazione dell’olandese non è mai arrivata.
Nel 2019, con Marotta ormai all’Inter, Paratici porta a Torino Maurizio Sarri: vincere non è più sufficiente, bisogna farlo divertendo. Con l’allenatore più divertente visto negli ultimi anni, ma anche il più inadeguato all’ambiente bianconero. L’attuale mister della Lazio si trova di fronte una squadra sostanzialmente inallenabile, fatta di campioni poco disposti – immaginiamo – a mettersi in discussione e a disposizione. Ronaldo, presumibilmente, su tutti, come farà capire lo stesso Sarri un anno dopo il suo addio. Da questa amalgama impossibile arriva il secondo scudetto del portoghese con la Juventus, in un clima, anche extra calcistico, surreale, in piena estate e dopo mesi di stop al campionato causato dalla pandemia di Covid-19 che ha messo il mondo in ginocchio.
Il risultato è la seconda rivoluzione in altrettanti anni, che porta sulla panchina bianconera Andrea Pirlo. Aura del predestinato a parte, un esordiente, senza alcuna esperienza, e con una visione del calcio a dir poco fumosa. Scelta, anche questa volta, della società, che porta in dote Chiesa, Kulusewski e McKennie. Cristiano Ronaldo è sempre lì, mai particolarmente coinvolto nella sua avventura in bianconero, incapace di incarnare il ruolo che tutti si aspettavano. Quello del leader, del condottiero in cui rispecchiarsi. Segna, ovviamente, da quel punto di vista resta una certezza. Ma, negli ultimi due anni, subisce lo shock dell’eliminazione agli ottavi di finale di Champions League per due volte consecutive.
Per il portoghese, che l’ha alzata cinque volte, una delusione che, piano piano, lo allontana dalla Juventus. Il club bianconero, nel giro di tre anni, per mille motivi – tra cui proprio l’acquisto monstre di CR7 – invece che scalare le gerarchie europee, ha preso una china che l’ha portato ad un passo dall’Europa League. Una debacle, da cui riprendersi richiamando in sella Massimiliano Allegri, dopo aver sbrigativamente salutato il povero Andrea Pirlo. L’allenatore più pragmatico che c’è, che però Cristiano Ronaldo non l’ha mai chiesto, e chissà se l’abbia mai amato. Di certo, l’hanno amato i suoi tifosi, ma con un certo distacco sabaudo, perché lui, CR7, non è mai stato un tipo passionale. La speranza, con il suo addio, è che lo stesso pragmatismo del portoghese e dell’allenatore toscano torni ad albergare nelle stanze della Continassa, perché Ronaldo o meno, alla Juventus tante cose, troppe, non funzionano già da un po’.