Conte, Inzaghi e Pirlo, le parole giuste per dirsi addio
Chissà cosa ci riserba il venerdì di quella che è stata una settimana tra le più vibranti che si ricordino, almeno in tema di calciomercato. O meglio, di panchine, perché sul vero mercato, quello dei giocatori, sin qui, non si è mossa foglia. Anzi, una, Maignan, nuovo portiere del Milan che saluta Donnarumma. In panchina, invece, si sono consumate, in Serie A, due separazioni improvvise e dolorose. Prima è stata la volta di Conte, che ha salutato l’Inter incapace di garantire le ambizioni del tecnico leccese. Non vere e proprie dimissioni, ma un divorzio con tanto di sostanziosa buonuscita: 7,5 milioni di euro.
Una doccia gelata per i tifosi interisti, che ancor prima di aver finito di festeggiare lo Scudetto si sono ritrovati a dover fare i conti con l’ennesima estate bollente. Via un big, taglio del monte ingaggi, ma anche un paio di certezze mida da poco. Marotta, ossia il miglior dirigente d’Italia, e i risultati parlano per lui, e l’ingresso in società del fondo Oaktree. Su cui poco si sa, ma che garantirà comunque la sopravvivenza del club. Orfana del suo condottiero, che ha affidato ai social, com’è ormai consuetudine, i propri pensieri, l’Inter si è subito messa alla ricerca di un sostituto.
Che, per ragioni di bilancio, non ha potuto essere Allegri, tornato invece alla Juventus, che adesso deve trovare le parole giuste per salutare Andrea Pirlo. Dopo una stagione tribolata, al Maestro non sono bastate Supercoppa e Coppa Italia, oltre al quarto posto, per meritare un’altra chance. I messaggi lanciati alla società sono caduti tristemente nel vuoto, e mentre Allegri firmava il contratto che lo legherà – di nuovo – ai colori bianconeri per i prossimi tre anni, su Pirlo è sceso il gelo. Potrebbe ripartire da Sassuolo, con una parte dell’ingaggio pagata proprio dalla Juventus, una sorta di buonuscita per uscire senza troppi imbarazzi dal cul de sac.
Perso Allegri, poco convinto da Maurizio Sarri, l’altro big fermo ai box, che però presupporrebbe lo smantellamento della rosa attuale, Marotta si è quindi gettato su Simone Inzaghi. Era mercoledì, il giorno in cui era previsto l’incontro decisivo tra l’ormai ex tecnico della Lazio e il patron binacoceleste Claudio Lotito. Ore ed ore a Villa San Sebastiano, poi la cena con Tare, e Inzaghi che vola via con il sorriso stampato in faccia e la certezza, confermata da qualunque testata o insider, che la permanenza sulla panchina della Lazio era cosa fatta.
Mancava, però, un dettaglio, non da poco: la firma. E Marotta, che il giorno stesso aveva incontrato Tullio Tinti, procuratore di Bastoni, ma anche di Simone Inzaghi, lo sapeva. Così, nel primo pomeriggio l’Inter ha alzato la posta, quasi duplicando l’offerta di Lotito, già messa nero su bianco con il nuovo contratto firmato dal presidente. E Simone Inzaghi, dopo mesi di tira e molla, ha scelto l’Inter. Un salto legittimo, assolutamente comprensibile in un’ottica professionale. Ma che, nei modi, non può che lasciare l’amaro in bocca in tutto l’ambiente laziale. Che Simone Inzaghi l’ha visto crescere, sostenendolo anche nei momenti di difficoltà. E che ieri l’ha visto scappare via, dopo aver illuso mezza città.
Se la forma è sostanza, non basterà un comunicato dell’Ansa per ricomporre una frattura profondissima, che molto dice sul peso delle parole e di una narrazione, anche giornalistica, spesso compulsiva. Intanto, di Pirlo non si hanno notizie da qualche giorno, l’Inter ha voltato pagina e salutato Conte senza troppe lacrime, e la Lazio deve trovare un degno sostituto di Simone Inzaghi. Resta, sullo sfondo, una sensazione di pressappochismo e mancanza di progettualità, ma anche di coraggio, da parte di tutti. Tutto ciò che, ad esempio, ha portato i primi sei club della Bundesliga a cambiare guida tecnica ufficializzando i cambi di panchina a stagione in corso, senza per questo sprofondare nel caos il campionato o nella depressione una tifoseria.