C’era una volta uno sport divorato dal dio denaro

C’era una volta uno sport divorato dal dio denaro

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Il capitalismo, il dio denaro, il potere. Fenomeni che hanno cambiato il mondo e che rivoluzionano le naturali leggi della moralità, del buon senso e delle giustizia ogni giorno in ogni aspetto della nostra vita e che, ahinoi, sono anche nel calcio. Come non potrebbero esserci? Il dio denaro ha il potere dell’ubiquitá e dell’onniscienza: ovunque tu guardi, gli interessi economici e di potere sono lì, celati in modo più o meno efficace e biasimabile, ma sempre pronti a cambiare le carte in tavola in barba a regole, leggi e religioni. Sciocchi quegli appassionati di calcio che ancora credevano di guardare uno sport. Se sport lo è mai stato, il calcio ha smesso di esserlo già da un pezzo e, durante la notte, la guerra aperta tra i club fondatori della SuperLeague, l’Uefa e la Fifa, ha messo una pietra tombale su ciò che restava di quello che un giorno fu il gioco più bello del mondo.

C’era una volta uno sport

Il calcio ha smesso di essere sport già da quando le televisioni hanno dato il via ad un circolo vizioso di soldi e potere che pian piano ha spostato gli interessi dai campi da gioco alle scrivanie dei grandi affari. Ogni grande giocata in campo ha fatto crescere il valore di un gioco sempre più dominato da persone e società multimiliardarie che hanno il solo interesse di far crescere il loro patrimonio. Gli investimenti dall’estero, gli sponsor, gli agenti dei calciatori, le società quotate in borsa, gli sceicchi e la Cina hanno definitivamente trasformato un pallone rotondo in una quadrata cassaforte, una macchina da soldi attorno a cui girano interessi economici e politici. Da anni ormai, gli appassionati di calcio sono abituati ad alternare termini come colpo di tacco, passaggio filtrante, ad altri come plusvalenza, clausola rescissoria, bilancio in rosso. 

Per definirsi sport, il calcio dovrebbe nascere con il tocco di un piede sulla palla e finire quando quest’ultima si ferma in rete o ovunque la traiettoria disegnata da un calciatore la faccia finire. Sogno da ingenui, mera utopia. Nel mondo di oggi immaginare il calcio come uno sport è da fessi. Eppure, fino ad oggi, c’era ancora una sottile speranza: che il calcio restasse un gioco, seppur fitto di poteri dominanti ed interessi che più o meno muovono la stessa palla da gioco, ma pur sempre un gioco che, almeno all’apparenza, premiasse il merito mostrato sul rettangolo da gioco. Ingenui, ancora una volta.

Il dio denaro contro il merito “sportivo”

Nasce la SuperLeague. Nasce un torneo con 15 squadre fisse e cinque che si qualificheranno dai tornei nazionali. Per ora 12 club fondatori a cui se ne aggiungeranno altri tre che avranno il privilegio della garanzia di partecipare a questo torneo. Ecco, appunto. Dov’è la meritocrazia? Per quale motivo Real Madrid, Juventus, Atletico Madrid, Manchester United, eccetera dovrebbero avere la garanzia di partecipare a quello che aspira con ragione ad essere il più ambito e spettacolare torneo del pianeta? Per soldi, interessi. Le quindici società fondatrici del torneo saranno quelle con più tifosi, con più potere, con più soldi, appunto. E questo non farà altro che arricchire gli stessi club partecipanti in un circolo vizioso che, viste le premesse, trasformerà il calcio in un lusso per pochi trasformando, a poco a poco, i campionati nazionali in tornei amatoriali. 

Scenario apocalittico e visione pessimistica? L’auspicio è che Uefa, Fifa e club della Superleague trovino un accordo che vada incontro alle esigenze di ulteriori introiti dopo la crisi del Covid e il dovere di preservare ciò che resta di un gioco che dovrebbe avere pari opportunità e uguali speranze: dai tifosi della Juventus a quelli del Lecce, dai supporters dello Spezia a quelli dell’Inter. Si trovi un accordo, nel nome dello sport.

Viva lo spettacolo, viva il calcio.