Mattia Caldara, difensore centrale del Milan in prestito al Venezia, si è raccontato in una lunga intervista al portale Cronache di Spogliatoio. Ecco un estratto delle sue parole, col classe ’94 che si è soffermato in particolare sul momento più duro della sua carriera, quello segnato dagli infortuni.
“Quando ero al Milan dopo uno scatto in allenamento ho capito che il mio tendine d’Achille aveva ceduto. Quella è stata la prima, vera botta mentale. Ho compreso che non sarebbe stata una cosa da poco. Non sapevano se operarmi, erano giorni confusi e io ero in balia di tanti punti interrogativi. Il tendine era ancora attaccato al 10%, volai in Finlandia dal prof Orava che mi consigliò di non operarmi. Così sono stato 50 giorni con il gesso“.
“Dopo 5 mesi inizio a stare meglio. Era ormai aprile. In allenamento sento che ancora non è finito tutto, ma miglioro. Finalmente torno in campo: c’è la Coppa Italia contro la Lazio. Durante la partita sembrava che nei mesi precedenti non fosse accaduto niente. Mi sentivo bene, eccome. Tutto il dolore si era sciolto all’improvviso: «Cavolo, sto così bene…». In settimana mi alleno al massimo, fiducioso. Ero appena tornato dopo 150 giorni senza calcio. Faccio un contrasto e niente, il legamento crociato laterale decide di cedere“.
“A gennaio parlai con il mister, mi disse di avere pazienza. Poi l’Atalanta mi contattò per darmi un’opportunità. Appena arrivato, gioco titolare a 19 mesi di distanza dall’ultima volta. In quelle settimane gioco anche in Champions League contro il Valencia. Penso che sì, sono tornato“.
“Scatta il lockdown. Quando ripartiamo, ci cado di nuovo: il tendine rotuleo mi tradisce. Se in quelle sere ho pensato di smettere? Sì, una volta sì. Una mezza volta“.
“Poi un giorno, la scorsa estate, tra le varie proposte spunta quella del Venezia. Sono passati alcuni mesi da quel giorno. Qui a Venezia sto benissimo. Certo, è una città particolare, meravigliosa. Andiamo allo stadio in barca, siamo uno spogliatoio super multiculturale“.
“Alcuni giorni fa abbiamo giocato contro la Roma. Ho segnato, non accadeva da 3 anni, 10 mesi e 26 giorni. In fondo è stato solo un gol. Per me è stata una liberazione. Ne avevo proprio bisogno. Più dell’ossigeno”.