Raccontare il calcio sul grande schermo non è mai stata un’impresa semplice. Troppe emozioni difficili da restituire al cinema, ed un pubblico estremamente esigente da soddisfare. Eppure, quando il cinema coglie la bellezza e la complessità del football, sa regalare vere e proprie perle.
Come “Il mio amico Eric”, pellicola del 2009 diretta da Ken Loach, regista inglese della classe operaia e della marginalità, capace come nessun altro di cogliere la potenza del pallone. Dirigente del piccolo Bath City, la squadra della sua città, Ken Loach non ha mai perso occasione, nel corso degli anni, di sottolineare il valore sociale del tifo inteso come comunità, partendo dalle squadre popolari e ribelli delle categorie inferiori, come l’FC United e l’Afc Wimbledon.
Non sorprende, allora, che ne “Il mio amico Eric” il calcio assurga ad un ruolo salvifico. Eric (Bishop), nella migliore tradizione di Loach, è un postino di Manchester, nel pieno di una crisi di mezza età. Trent’anni prima, infatti, aveva abbandonato la moglie Lily e la figlia Sam, e oggi vive con Ryan e Jess, i due figliastri lascito della seconda ex moglie, sempre in mezzo ai guai ed incapaci di costruire un rapporto, se non affettuoso, quantomeno civile con il padre.
Chi non ha mai smesso di voler bene ad Eric, nonostante tutto, è la figlia Sam, ragazza madre ad un passo dalla laurea, che chiede al padre di prendersi cura della nipote. Abbastanza per far scivolare il postino di Manchester in una spirale di paranoia ed autocommiserazione, figlia di un passato irrisolto e di un presente infelice, da cui uscirà solo con l’aiuto di un altro Eric, Cantona, il suo giocatore preferito ai tempi del Manchester United, di cui è tifosissimo.
L’ex numero 7 è una presenza onirica, irreale ed impalpabile, evocata dalla disperazione e dall’erba, che guiderà con i suoi consigli il postino Eric Bishop fuori dalle sabbie mobili di una vita diventata ormai un percorso ad ostacoli tra rimpianti e ostacoli.
Tra dramma e commedia, il film, a tratti esilarante, nasce da un’idea dello stesso Cantona, che appena appesi gli scarpini al chiodo si è tuffato nella carriera cinematografica e teatrale (indimenticabile il cammeo in “Elizabeth”, del 1998).
Presentato al 62° Festival di Cannes, dove ha vinto il Premio della Giuria Ecumenica, si è aggiudicato anche il Premio Magritte alla migliore coproduzione.
Nella conferenza stampa di presentazione del film, Ken Loach, stuzzicato sulla sua passione per il calcio, affermò:
“Non vado a vedere le partite per fare dei trattati di antropologia ma per vedere la mia squadra vincere.”