Negli ultimi giorni i profili social di Henrikh Mkhitaryan si sono riempiti di post sulla questione del Nagorno Karabakh, la regione del Caucaso dove è ormai in atto un conflitto tra Armenia e Azerbaijan. Il calciatore armeno, da sempre impegnato nel sociale, specialmente per il suo Paese d’origine, ha pubblicato diversi appelli per denunciare ciò che sta succedendo in quella parte di mondo.
“Proseguono i pesanti scontri militari contro il Nagorno Karabakh – ha scritto ieri l’armeno – con vittime da entrambe le parti. Anche il territorio della Repubblica di Armenia sta subendo bombardamenti. L’offensiva azera iniziata la mattina del 27 settembre e diretta contro la popolazione civile è da condannare con forza. Una fine immediata delle di questa violenza e di questo crimine contro l’umanità è urgente e vitale. La Turchia deve cessare il supporto a questa offensiva, incluso il reclutamento di combattenti terroristi stranieri per attaccare l’Armenia. Chiedo alla comunità internazionale e agli alleati un intervento rapido, al fine di evitare un altro genocidio.”
Ma cos’è il Nagorno Karabakh, e perché è sull’orlo della guerra?
Una storia dal XX secolo
Il Nagorno Karabakh è una regione montuosa del Caucaso Meridionale in territorio azero, ma storicamente occupata sia da azeri mussulmani che da armeni cristiani (i quali costituiscono oltre il 90% della popolazione). Una convivenza travagliata, quella tra le due popolazioni, ma letteralmente esplosa all’inizio del ‘900. Dopo la Rivoluzione russa del 1917, Armenia e Azerbaijan si contendono per due anni il territorio del Nagorno Karabakh, conquistato però dai bolscevichi nel 1920 e assegnato da Stalin all’Azerbaijan nel 1923. Sotto l’egida sovietica, per oltre sessant’anni il Nagorno Karabakh scompare dai radar. Ma quando l’URSS inizia a vacillare, le tensioni tra azeri e armeni riesplodono più violente che mai.
La guerra del Nagorno Karabakh
Nel 1988 il Parlamento del Karabakh chiede l’annessione all’Armenia, sancendo di fatto l’inizio di un conflitto che si inasprirà gradualmente. Dissolta l’URSS, nel settembre del 1991, il Nagorno Karabakh si dichiara Stato sovrano. A quel punto, Azerbaijan e Armenia corrono alle armi per riconquistare e difendere la regione che ognuno sente propria. Tra ’91 e ’92 scoppia un conflitto spaventoso, che provoca oltre 30.000 vittime, 1 milione di profughi e si protrae fino al 1993, anno del primo “cessate il fuoco”. Una soluzione cui si giunge anche grazie alla mediazione del “Gruppo di Minsk“, un tavolo aperto dalle Nazioni Unite e composto da dodici Paesi incaricati di mediare tra Armenia e Azerbaijan.
Nel 1994, i due Paesi coinvolti e lo Stato sovrano del Nagorno Karabakh firmano l’accordo di Bishkek, che sospende le ostilità riconoscendo la vittoria militare dell’Armenia, che assume il controllo della regione. Il trattato di pace, tuttavia, non è mai stato siglato. Ed è per questo motivo che Armenia e Azerbaijan non hanno mai smesso di contendersi il Nagorno Karabakh, che nel 2006 si è nuovamente dichiarato Stato sovrano, senza però essere riconosciuto da alcun Paese (nemmeno la stessa Armenia) a livello internazionale. Violazioni del cessate il fuoco si sono registrate ciclicamente, ma si è sempre trattato di scontri a bassa intensità e di breve durata. Almeno fino a qualche mese fa.
Cosa succede ora
Lo scorso luglio, nuovi e più violenti scontri sono scoppiati al confine tra Nagorno Karabah e Azerbaijan, dando il via a quella che somiglia sempre di più a un’escalation. Nei giorni successivi ai primi scontri armati, gli azeri scendono in piazza per rivendicare il possesso della regione. Poi la situazione degenera gradualmente, fino alla rottura definitiva. Domenica scorsa, il Primo Ministro armeno ha dichiarato la mobilitazione generale e imposto la legge marziale, accusando l’Azerbaijan di aver “pianificato l’aggressione” ed esortando gli armeni a lottare. Dal canto suo, il Presidente azero si è detto fiducioso di riconquistare militarmente il Nagorno Karabakh dopo l’attacco armeno, mettendo così fine a “trent’anni di ingiusta occupazione“.
Di fatto, Armenia e Azerbaijan si sono rimpallati a vicenda l’apertura delle ostilità, e tuttora non è chiaro di chi sia la responsabilità. A esasperare un conflitto che in pochi giorni ha già causato decine di morti è intervenuta la Turchia, storicamente ostile all’Armenia e alleata dell’Azerbaijan. Stando alle denunce che piovono a livello internazionale, la Turchia starebbe supportando l’Azerbaijan con l’invio di armi, mezzi e truppe irregolari. Dall’altro lato della barricata, l’Armenia non sembra invece poter contare sull’appoggio della Russia. Alleata sì, ma in stretti rapporti anche con l’Azerbaijan, e quindi poco propensa a intervenire vigorosamente. Per il momento, Mosca si è limitata dunque a chiedere un “cessate il fuoco”. Esattamente ciò che hanno fatto le Nazioni Unite, Francia, Germania e USA.
Insomma, mentre nel Caucaso tornano a spirare venti di guerra, il mondo sta a guardare. Ben vengano, allora, iniziative di calciatori come Mkhitaryan. Che forse spostano poco su un piano concreto, ma quantomeno accendono la luce su squarci di mondo fin troppo in ombra.