Borja Valero e CS Lebowski: molto più di una semplice partita
Alcuni giorni fa, si era parlato della possibilità che Borja Valero, già sotto contratto con DAZN nel ruolo di commentatore, potesse andare a giocare per un club dilettantistico: il Centro Storico Lebowski. I giornali e gli esperti di mercato appena ricevuto il rumour iniziano a parlare di questa piccola grande realtà del calcio toscano.
Questa possibilità è diventata realtà grazie alla sensibilità sociale che unisce il CS Lebowski e il sindaco.
Com’è nata la storia tra Borja Valero e il CS Lebowski
Tutto nasce circa un anno fa. L’allenatore delle giovanili del CS Lebowski chiede – quasi per gioco – al giornalista Benedetto Ferrara, amico di Borja Valero, di parlare con il centrocampista spagnolo per convincerlo ad andare a giocare da loro a fine carriera. Come succede in molti casi, si trattava di un discorso che sconfinava nel campo delle ipotesi, di quei discorsi che fai con il tuo amico di vecchia data, quei voli pindarici utili ad evadere un attimo da ciò che ti circonda. Più che un’idea, un sogno. Ma quando nei mesi scorsi, Borja Valero ha annunciato l’addio alla Fiorentina e il conseguente ritiro dal calcio, il giornalista ha pubblicato sui social un fotomontaggio del giocatore con la maglia del CS Lebowski. Lo spagnolo mette like e la stampa locale impazzisce.
Una storia di sport, di uomini e di valori
Il fil rouge tra il club fiorentino e il centrocampista spagnolo va oltre la semplice favola. La storia del CS Lebowski non è una Cindarella story come le altre. 29 Aprile 2018. Il Lebowski, nel suo stadio, Il Tavarnuzze, affronta il Dicomano. Chi vince la partita sarà il campione della prima categoria e giocherà, la prossima stagione, in promozione. A quella partita così importante il Lebowski ci era arrivato partendo dalla terza categoria, la cosiddetta Serie Z, grazie ai pochi risparmi accumulati da un gruppo di giovani studenti stanchi della piega che aveva preso il calcio. Una squadra che inizialmente perdeva su tutti i campi della provincia toscana ma fedele al motto del Drugo Lebowski: “Prendiamo la vita come viene”. In campo, come ogni storia di calcio dilettantistico vuole, scendono persone che lavorano, ragazzi alla ricerca del proprio futuro e un allenatore che lavora come cuoco e viene dalla Sardegna. Ma torniamo alla partita contro il Dicomano. Il match è fermo sullo 0-0 e mancano pochi secondi. Il Lebowski attacca nei minuti di recupero, il difensore della squadra avversaria butta via la palla che in maniera rocambolesca non esce dal campo perché tocca la bandierina del calcio d’angolo. Cross in mezzo, mischia maschia in area di rigore e alla fine Vargas di destro la piazza all’angolino. Il Lebowski è in promozione. Una squadra senza padroni, o meglio con centinaia di padroni data l’organizzazione collettiva della società che si autofinanzia grazie ai propri membri.
Borja Valero in questa storia ci entra senza forzature. Lo spagnolo ha provato sulla sua pelle cosa significa crescere in una periferia, come racconta a La Nazione: “Sono cresciuto in un quartiere periferico di Madrid. Non c’era niente, era difficile anche trovare un campetto per giocare. Certe cose non si dimenticano. Il calcio è anche questo: incontro, aggregazione, possibilità di stare insieme. Di crescere”. Perché una storia come quella del CS Lebowski non ha bisogno del Borja Valero calciatore ma dell’uomo dietro al giocatore per continuare un’idea di calcio a misura della comunità, perché con un pallone tra i piedi si può ancora sognare.
Borja Valero: un uomo mai banale
Antidivo, nell’esplicazione più positiva possibile del termine. Sul campo rispettoso ed elegante nelle giocate. Nelle dichiarazioni e nelle interviste un uomo che non ha mai avuto paura di schierarsi.
In direzione ostinata e contraria
Se il calcio moderno dibatte sulla possibilità o meno di introdurre nuove competizioni per aumentare le entrate dei club, esempi di chi si serve del calcio come veicolo sociale e di aggregazione ce ne sono ancora. Come Borja Valero e il CS Lebowski. Storie come queste non fanno bene solo perché sono belle da raccontare e da leggere ma anche e soprattutto perché ci vogliono comunicare una cosa: il calcio è di tutti, deve arrivare a tutti e tutti devono poter avere la possibilità di giocarci.