Accadde Oggi: Nasce Dios
Il 30 ottobre 1960 nasce Diego Armando Maradona. Celebrato da giorni sui quotidiani, non solo sportivi, di tutto il mondo, a poca distanza dagli 80 anni di un altro mito, Pelé, più che un compleanno è la commemorazione di un mito. La cui fama va ben al di là del campo di calcio. Talento cristallino nel corpo di un uomo fragile, incapace di contenere gli eccessi di un carattere esuberante e di una vita senza freni. Sembra la storia di George Best, ma con una differenza sostanziale: la capacità di costruire con la gente, con i suoi tifosi, un rapporto empatico. Capace di andare al di là del bene e del male.
Maradona è stato tanto un eroe quanto un antieroe, nella stessa storia. Vittima, ai tempi del Barcellona, di uno degli interventi più violenti che si siano visti su un campo di calcio, è lui stesso a cercare la rissa con i baschi dell’Atletic Bilbao a poche settimane dal ritorno in campo. A Napoli ha dato tantissimo, ricevendo un amore sconfinato. Due scudetti e una Coppa Uefa da un lato, gli eccessi propri di una rock star dall’altro. Una star cullata e difesa, alla fine sacrificata sull’altare di una moralità che per anni non aveva interessato nessuno. Che Maradona, el Dies, o meglio, Dios, si accompagnasse spesso ad esponenti dei clan della Camorra, non interessava a nessuno. Che avesse problemi di droga, sin dal 1982, quando arriva in Europa, neanche.
In mezzo, i Mondiali del 1896 in Messico, che consacrano Maradona, casomai qualcuno non si fosse accorto di tanta grandezza. Al mondo, generoso come sempre, regala due perle: una di rara bellezza, l’altra di rara scorrettezza, quanto di profondo senso politico. Nei quarti di finale, l’Argentina incrocia l’Inghilterra, con cui è in corso, nel mondo reale, una guerra vera, per il controllo delle Isole Malvinas, al largo delle coste argentine. La decide, con una doppietta, Maradona. Il primo è, unanimemente, il gol più bello del mondo: parte palla al piede dalla sua metà campo, scarta, letteralmente, tutti, e insacca a porta vuota. Il secondo è il più contestato: arriva un cross, salta in area anticipando il portiere inglese, e insacca, più di mano (la mano de Dios) che di testa. Beffando arbitro e guardalinee, certo, ma anche una Nazione intera.
Nel Belpaese, dove sbarca nel 1984, se Napoli lo ama, per il resto d’Italia è il simbolo di un calcio fin troppo libero e fuori dagli schemi, controcorrente, esagerato, in un Paese, allora come oggi, essenzialmente bigotto. Ai Mondiali di Italia ’90, la semifinale contro gli Azzurri crea non pochi imbarazzi: si gioca a Napoli, e molti tifano, apertamente, Argentina. Maradona è una Chiesa a sé, capace di mettere in secondo piano persino quel poco di patriottismo che solitamente si respira durante un Mondiale. L’altra faccia della medaglia, però, è la selva di fischi che, a Roma, accompagna l’inno argentino prima della finale. Un affronto, come il labiale di Maradona, che sibila un “hijos de puta” che, di fatto, segna la fine della sua storia italiana.
Sancita, a marzo del 1991, da un controllo antidoping che svela, senza grosso stupore, la positività alla cocaina del Pibe de Oro. Il calvario, in realtà, era iniziato già da un po’. Lo scudetto del 1990, il secondo, aveva illuso tutti, ma l’uomo aveva iniziato già da un po’ a prendere il sopravvento sul calciatore. E l’uomo, nel caso di Maradona, è tra i più fragili, insicuri e sensibili che abbiano mai calcato un campo di calcio. La parabola discendente del calciatore, per quanto triste, è davvero poca cosa rispetto al declino dell’uomo. Che dopo i Mondiali di Usa ’94 passa più tempo in rehab che a casa propria. Alcol, cocaina, obesità, problemi con il fisco: un turbine da cui non uscirà per anni. In mezzo, la strana amicizia con Fidel Castro e la simpatia, reciproca, per i lìder socialisti di tutto il Sud America.
Questo è Maradona, incapace di frenare le proprie passioni, ma anche in grado di ergersi a simbolo degli oppressi, egli stesso emarginato e combattuto, più o meno apertamente, da un establishment che ne ha sempre stigmatizzato i comportamenti dentro e fuori dal campo. Dare un giudizio, almeno sull’uomo, sarebbe esercizio presuntuoso e inutile, ma nessuno come lui ha saputo conquistare la curiosità e l’affetto di registi (da Kusturica a Risi) e scrittori, diventando una vera e propria icona pop. Sul calciatore, invece, sarebbe assurdo non considerarlo come uno dei due più grandi di sempre. L’altro è Pelé.