La Lazio dello scudetto del 1974, a raccontarla oggi, sembra uscita da un romanzo. Di cui, però, è difficile stabilire il genere. Le tinte, negli anni successivi, si faranno spesso noir. E assumeranno i contorni della tragedia nel 1977, il 18 gennaio, quando muore Luciano Re Cecconi. Nato nell’interland milanese, a Nerviano, deve il suo cognome ad una curiosa concessione di Vittorio Emanuele II. Il sovrano, in visita a Nerviano un secolo prima, colpito dalla calorosa accoglienza, aveva regalato agli abitanti del paese il “Re” davanti ai loro cognomi. I Cecconi, così, diventano Re Cecconi. E Luciano Re Cecconi ne è orgoglioso.
Di famiglia umile, lavora come carrozziere da ragazzo, prima di entrare nella Pro Patria, con cui esordisce in Serie C. Gli basta una stagione per conquistare le attenzioni di Tommaso Maestrelli. All’epoca allenatore del Foggia, vuole Re Cecconi in Puglia per il centrocampo dei rossoneri, allora in Serie B.
Quello con il Maestro è l’incontro che gli cambia la vita. Rimane a Foggia anche quando Maestrelli va alla Lazio, ma sarà una sola stagione, perché il binomio si ricompone nel 1972. Al termine del campionato, con la regia educata di Re Cecconi, la Lazio raggiunge un incredibile terzo posto, a soli due punti dalla Juve Campione d’Italia. Non è che il preambolo dell’annata successiva, quella del primo storico scudetto biancoceleste. Da tali vette, si può solo scendere, e la Lazio, infatti, vivrà stagioni difficilissime. I big lasciano la Capitale, Maestrelli, malato, è costretto a dire addio alla panchina (morirà nel 1976, per un tumore al fegato), ma Re Cecconi resta lì.
A giocare e deliziare i tifosi, anche in un momento non semplice. Nel 1976 a guidare i biancocelesti arriva Luis Vinicio, chiamato a risollevare le sorti del club. Re Cecconi, come sempre, è il cardine del centrocampo, e la stagione inizia bene. Segna un gol bellissimo contro la Juventus, che non salva comunque i suoi dalla sconfitta. Alla terza di campionato contro il Bologna, però, subisce un intervento duro e un brutto infortunio, che lo avrebbe tenuto a lungo lontano dai campi. Il condizionale, in questa storia tragica, è d’obbligo, perché Re Cecconi non tornerà mai più a calcare un campo di calcio. Muore infatti il 18 gennaio 1977, al termine di uno scherzo finito male. O almeno così raccontano le cronache giudiziarie.
Insieme al compagno di squadra Pietro Ghedin e al profumiere Giorgio Fraticcioli, si reca nella gioielleria di Bruno Tabocchini, a Collina Fleming, quartiere residenziale e tranquillo di Roma. Qui, il gioielliere spara e colpisce in pieno petto Re Cecconi, che morirà poco dopo in ospedale. Il perché di un gesto simile non è mai stato stabilito con chiarezza. Secondo il racconto di Tabocchini, Re Cecconi, con una mano in tasca, avrebbe scherzosamente minacciato una rapina. E il gioielliere, impaurito, avrebbe reagito tirando fuori da sotto al banco la sua Walther calibro 7,65 e sparando. Questa, almeno, è la storia ufficiale, conclusasi con un’assoluzione, per “aver sparato per legittima difesa putativa”. La certezza, è che il mondo del calcio, pochi mesi dopo aver salutato Maestrelli, saluta anche Re Cecconi, 28 anni, morto nella maniera più assurda.