Senza sponsor, oggi, non ci sarebbe il calcio. Portare un brand globale sulla maglia di un grande club, o persino sulla manica, garantisce ormai una visibilità planetaria. E non stupisce che le squadre più forti del mondo firmino contratti con marchi di automobili e compagnie aeree da decine di milioni di euro l’anno. Prima della televisione – e quindi degli accordi per la trasmissione dei match come li conosciamo oggi – la prima grande rivoluzione commerciale del calcio passò proprio per gli sponsor di maglia.
Una vera e propria innovazione, arrivata molto più tardi di quanto si potrebbe immaginare, dalla Germania. Protagonista è l’Eintracht Braunschweig, squadra dal passato recente glorioso, con un titolo di campione di Germania Ovest in bacheca. Nel campionato 1972/1973 il club è in grave difficoltà, sportiva ed economica. Sul campo, i risultati scadenti la vedono scivolare in fondo alla classifica, e le casse della società sono sempre più vuote. Per trovare nuove risorse, così, l’8 gennaio 1973 i soci del club decidono una misura originale quanto drastica. Lo stemma della squadra sparisce, al suo posto quello dello Jägermeister, il popolare amaro tedesco a base di erbe. Prodotto, non a caso, a Wolfenbüttel, a meno di 20 chilometri dalla sede dell’Eintracht Braunschweig.
L’accordo prevede il pagamento di 100.000 marchi al club, e il 24 marzo 1973, nella partita contro lo Schalke 04, la maglia gialla con il cervo sul petto e la scritta “Jägermeister” sotto, fa il suo esordio ufficiale. È la prima volta che una squadra di calcio professionistica scende in campo con uno sponsor. Un’innovazione che incuriosisce e conquista presto tutte le squadre della Bundesliga e, nel giro di pochi anni, d’Europa. Da quel momento, nulla sarà più come prima, il business entra a piè pari nel mondo del pallone, ammesso che ne sia mai stato realmente fuori.
Per l’Eintracht Braunschweig, comunque, non finisce bene. Nonostante lo sponsor, la squadra finisce il campionato al penultimo posto, retrocessa in seconda divisione.