Accadde oggi: il primo scudetto della Fiorentina
Correva l’anno 1956. Domenica 6 maggio si gioca la 29esima giornata di Serie A. La Fiorentina, capolista imbattuta del campionato, è in trasferta a Trieste. Il Milan, secondo a ben 11 lunghezze di ritardo, va a Torino contro la Juventus. Siamo nell’epoca dei due punti a vittoria, e il vantaggio accumulato dai Viola appare siderale. Alla fine delle gare, l’obiettivo è centrato al primo colpo. A Trieste è sufficiente un pari per 1-1, perché i rossoneri rimangono bloccati sullo 0-0 contro la Juve. Fiorentina 47 punti, Milan 36. Con dieci punti in palio ancora, la matematica parla chiaro: i toscani di Fulvio Bernardini sono i nuovi campioni d’Italia.
Bernardini, sulla panchina dei viola dal ’53, era un allenatore d’avanguardia per l’epoca. Fu lui che coniò l’espressione “piedi buoni”, a sintesi dell’importanza delle qualità tecniche individuali dei giocatori rispetto alle geometrie tattiche. Era proverbiale la sua abitudine nel minimizzare l’impatto delle sue scelte sui risultati. Per lui, a costo di sfiorare la falsa modestia, i meriti erano sempre da attribuire al valore dei giocatori.
Nonostante ciò, le variazioni che il “Dottore” escogitò al modulo di gioco allora vigente (il Sistema, o modulo WM) furono fondamentali. Miravano a rafforzare la fase difensiva, e al contempo ad esaltare le caratteristiche giocatori offensive dei disposizione. Questi suoi accorgimenti furono il preludio all’ascesa del catenaccio all’italiana e del libero, ma erano anche di straordinaria modernità per l’articolato meccanismo di scalate previste. La squadra si ridisegnava in campo a seconda del possesso e delle fasi di gioco. Inoltre, Bernardini fu fra i primi a sottolineare l’importanza del concetto di “spazio”: il pallone non va giocato addosso al compagno, bensì nello spazio libero dove questi è in grado di raggiungerlo prima dell’avversario. A proposito di modernità e costruzione del gioco.
Il presidente della Fiorentina dell’epoca, Enrico Befani, era un industriale pratese dal forte senso manageriale. E che, per le questioni di campo, si fidava molto del suo allenatore. Bernardini, andato a visionare di persona i Mondiali svizzeri del 1954, tornò con la lista della spesa. Nessun tedesco campione del mondo, nessuno della Grande Ungheria sconfitta in finale. Chiese un’ala brasiliana, Julinho, di riconosciuto spessore nonostante la precoce eliminazione dei verdeoro proprio per mano dell’Ungheria. “Se riusciamo a prendere Julinho, vinciamo lo scudetto”, sentenziò. Insieme a lui, nell’estate del ’55 sbarcò a Firenze lo sconosciuto argentino Miguel Ángel Montuori. Di origini italiane, fu segnalato ai viola da un osservatore… d’eccezione: padre Volpi, missionario in Cile che lo notò giocare con Universidad Católica. Fu un crack, e come mezz’ala dalle spiccate doti offensive andò a segno 13 volte.
La Fiorentina a inizio stagione non è una favorita, nonostante l’arrivo di Julinho e la conferma di un gruppo che ha ben figurato nella precedente stagione. Ci sono delle certezze, come il centravanti Virigili (che segnerà 21 reti), o il terzino offensivo Cervato. Ma anche dei punti interrogativi: da Montuori al giovanissimo e quasi esordiente portiere Sarti, più tardi estremo difensore della Grande Inter di Herrera.
Eppure i viola, grazie anche agli accorgimenti di Bernardini, inizieranno ben presto ad avere una notevole continuità di gioco e risultati. Continuità tale da far loro subire la prima sconfitta solo all’ultima di campionato. Alla settima giornata, agganciarono la testa della classifica grazie ad un pareggio a Vicenza. L’Inter capolista era caduta a Marassi contro la Samp per 3-2. Nel turno seguente, i nerazzurri cadono in casa contro la Lazio. Al Franchi, una doppietta di Montuori piega il Torino. La Fiorentina divenne solitaria testa della classifica. Nessuno la raggiunse più.