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Accadde oggi: i primi focolai di Covid-19 fermano il calcio

Il 20 febbraio 2020 è una data simbolica quanto drammatica per l’Italia. Passerà alla storia come il giorno in cui l’Italia scopre il Covid-19, con il famoso paziente zero, Mattia Maestri, 38enne di Codogno, paese di 15mila abitanti nel basso lodigiano. In Italia, in realtà, i primi due positivi erano stati una coppia di cinesi in vacanza a Roma, venti giorni prima. In quel momento, però, il virus che aveva colpito la Cina non sembrava destare grandi preoccupazioni. Nel frattempo, Mattia finisce in rianimazione, a Codogno esplode il primo focolaio, e tre giorni dopo diventa la prima zona rossa d’Italia.

Il Covid-19 è arrivato in Italia, e per quanto si faccia di tutto per convincersi che non si tratta di una vera emergenza, le cose iniziano a cambiare. La Lombardia si ritrova, nel giro di una settimana, nell’occhio del ciclone. Chiudono scuole, ristoranti, musei e negozi, e anche il calcio si interroga sul da farsi. Come un’onda, impossibile da fermare, tutto il Nord Italia precipita nell’emergenza sanitaria. Vanno in scena solo sei partite della sesta giornata di ritorno, tra il 21 ed il 23 febbraio, le altre sono rimandate a data da destinarsi.

Come prima misura, la Lega Calcio decide di giocare le partite a porte chiuse fino al 3 aprile. La speranza, mal riposta, è che l’emergenza duri appena qualche settimana. Si scende in campo quindi nei due weekend successivi, con l’ultima partita giocata la sera del 9 marzo. Sassuolo-Brescia 3-0, Ciccio Caputo esibisce un foglio davanti alle telecamere: “Andrà tutto bene. Restate a casa”. Il Covid-19 è emergenza nazionale, e il Paese finisce in lockdown. Tutte le attività non necessarie vengono sospese, e per il calcio inizia un lungo periodo di stop, riflessione e scontri. Oggi, ad un anno da quando tutto è iniziato, la Serie A si gioca ancora a porte chiuse, e il ritorno alla normalità, e allo stadio, appare ancora lontano.

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Published by
Piermichele Capulli