Abramovich, le “performance” di un oligarca nel pallone
Abramovich e le sue performance. Settimane in cui non si parla d’altro: il merito in parte è di Virginia Raffaele, che sta spopolando su Amazon Prime Video con Lol 2, dove imita la celebre artista Marina. L’altro Abramovich è Roman, questa non è un’imitazione: è tutto vero. L’uomo – e non per motivi da ridere – è il più chiacchierato d’Europa e non solo grazie al conflitto ucraino.
La vicinanza a Vladimir Putin, principale assertore della guerra a Kiev, lo mette in cattiva luce ma soprattutto in evidenti difficoltà economiche. Lo costringe a vendere il Chelsea – trattative in corso per 3 miliardi – e a rimettere mano ai suoi beni per non essere inghiottito dalle sanzioni economiche che, non solo in Inghilterra, sono all’ordine del giorno.
Roman Abramovich, il patrimonio che potrebbe schiacciarlo
Boris Johnson “fresco” di Brexit, nel pieno delle ostilità belliche, si allinea con l’Europa: pugno duro e intransigenza agli oligarchi russi presenti sul territorio. Significa che, se Abramovich non corre immediatamente ai ripari, rischia la confisca dei beni. Oltre al Chelsea (dal considerevole valore di mercato) sul piatto ha una residenza da 200 milioni di euro a Kensington Park e un’altra villa che equivale a 20 milioni. Questi sono i “beni al sole”, cioè quelli più in vista, che deve cercare di piazzare prima di perdere tutto.
Una strategia anche comunicativa la sua, che cerca di ricostruirsi un’immagine per prendere le distanze dalle iniziative di matrice putiniana: “I profitti dalla vendita del Chelsea – dichiara – andranno in sostegno alle popolazioni ucraine colpite dalle bombe”. Parole forti che, però, stridono con il suo passato. Anche recente. Non puoi sperare di instaurare un dietrofront mediatico quando ti hanno visto con Putin ai negoziati (che peraltro continuano nella speranza di mettere fine al conflitto) pochi giorni prima.
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Abramovich sta cercando di fare come coloro che sono stati presi in castagna e pretendono di disfarsi di tutte le loro criticità in men che non si dica: tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo il mercato. Il Chelsea e tutto il resto non sono così semplici da piazzare in poco tempo: “Stiamo facendo tutto il possibile per rispettare l’iter di compravendita”. È più una necessità impellente che un auspicio vero e proprio. Ormai lo hanno inquadrato.
Un’ascesa da capogiro: dai giocattoli al petrolio
A parlare, fra le altre cose, sono i trascorsi dell’uomo – che in questo momento non valgono come prova, ma attestano quanto lui e Putin siano legati a doppio filo – in grado di confermare quanto Roman Abramovich sia passato dalle stalle alle stelle: Forbes fa una ricostruzione puntuale e approfondita della scalata del magnate. Ha iniziato come dipendente di un commerciante di giocattoli, a Mosca, negli anni ’80: “Roman viveva in miseria”, racconta Vladimir Tjurin, il suo principale all’epoca.
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“I pochi soldi che aveva – si legge ancora, stavolta su Repubblica – li spendeva in profumi, camicie bianche e pantaloni scuri”. Un’altra persona, un uomo qualunque, il cui sogno era – sempre secondo Tjurin – comprare il mondo. Testuali parole che Abramovich gli avrebbe rivelato in una chiacchierata informale di allora. Il tempo gli ha dato ragione: Roman ha costruito un impero, patrimonio stimato 12,4 miliardi di dollari. Niente rispetto ai 23,5 raggiunti nel 2008.
Il legame con Putin e le possibili ripercussioni
In dieci anni è diventato uno degli uomini più potenti della Russia: un signore del petrolio e consigliere di due presidenti. Putin lo volle accanto a sé – in tempi non sospetti – proprio per la sua duttilità e spirito di adattamento: da quando lavorava nella fabbrica di giocattoli sono cambiate molte cose. Ora il “giocattolo” potrebbe essere diventato lui, nelle mani del potere russo, da cui sarebbe pronto a sganciarsi ma solo a parole.
Putin lo aspetta e Abramovich non può uscire da certi contesti agevolmente: i legami con il leader russo ci sono e non bastano certo due dichiarazioni a cancellare anni di partnership. Lo spauracchio delle sanzioni rimane, ma non è l’unico problema per l’oligarca che adesso dovrà fare i conti con il proprio passato (dal petrolio ai metalli fino agli assidui contatti con il mercato nero) pronto a bussare ancora una volta alla porta.